da La Repubblica – Ed. Palermo del 5 Dicembre
Da Giacomo Cusmano a Giovanni Messina: un volume di Mario Torcivia racconta le opere di carità dei “missionari in città” vissuti tra Otto e Novecento
Nelle “cento Palermo”, per dirla con Gesualdo Bufalino, c’è di tutto e di più, il massimo del male e il sommo bene, l’Africa delle periferie e la Svezia dei quartieri alti, la mafia e l’antimafia, la rapina e la carità, l’arte e il suo degrado, l’esodo e l’immigrazione. E ci sono diciotto vite da “santi”, nell’Ottocento e nel Novecento, raccontate da Mario Torcivia, prete e teologo.
Il titolo – “Santi palermitani” – è un’esca bella e buona, perché nelle scarne biografie di diciotto palermitani virtuosi, di santi veri non ce n’è neanche uno. L’autore, don Mario Torcivia, spiega la forzatura: «La parola “santo” va intesa come sintesi di “beato”, “venerabile” e” servo di Dio”, per raccontare palermitani virtuosi che, nell’Ottocento e nel Novecento, hanno dedicato la loro vita ai poveri e ai sofferenti. E qualcuno di loro, come il martire don Pino Puglisi, santo lo diventerà sicuramente».
In apertura del libro pubblicato da Rubbettino (122 pagine, 11 euro) l’identikit della santità: «Un credente riceve il titolo di “servo di Dio” quando viene iniziata la causa di beatificazione; di “venerabile” dopo che è stato promulgato il Decreto sull’eroicità delle sue virtù o quello del suo martirio; di “beato”, quando riconosciuto un miracolo o il martirio del servo di Dio il Papa gli concede il culto pubblico, limitato a una diocesi; “santo” quando, riconosciuto un altro miracolo, il Papa dichiara che il fedele cattolico vive nella gloria eterna e gli deve essere dato il culto pubblico in tutta la Chiesa universale».
Chi sono questi personaggi – religiosi, laici, di modeste origini e con sangue blu – che sono vissuti “santamente”? Di padre Puglisi è stato scritto tanto, vediamo gli altri. Un giorno Giacomo Cusmano, nato nel 1834 all’Albergheria, ospite a pranzo di una famiglia facoltosa, nota con stupore che ognuno dei commensali prende un “boccone” del proprio piatto e lo depone in un vassoio al centro della tavola. Alla fine chiede il significato di tutto ciò e il capofamiglia risponde che quel cibo accantonato sarebbe servito a sfamare un povero. Il prete ne resta colpito e decide di attuare quel che ha visto per alleviare la miseria di tanta gente e fonda così l’associazione del “Boccone del povero” che tanto bene avrebbe fatto negli anni a venire ai derelitti della città, allora come oggi invisibili, coloro che si preferisce non vedere. Osteggiato dai suoi genitori riesce a consacrarsi prete. Poi studia medicina e cura il corpo e le anime degli abitanti di San Giuseppe Jato, dove la famiglia possiede dei poderi. Coadiuvato dalla sorella Vincenzina, per suo conto “serva di Dio”, crea innumerevoli organismi per aiutare sofferenti ed emarginati.
Maria Carmelina Leone, nata nel 1923 e morta diciassettenne nella sua casa di Sant’Isidoro alla Guilla, Papireto, ha avuto un grande seguito nella seconda metà del secolo scorso, al punto che migliaie di mamme hanno dato il suo nome alle neonate. Nonostante le sofferenze della tubercolosi, al tempo incurabile, dedica tutto il suo tempo alle giovinette dell’Albergheria. Profetizza il giorno della sua morte e chi la conosce ne resta colpito. La vita virtuosa logora: infatti sono tanti i morti giovanissimi, come la venerabile Maria Carmela. L’ età media dei 18 “santi” è di 56 anni. La media si abbassa di molto se si escludono i tre longevi, i servi di Dio, Francesca Paola Prestigiacomo, 90 anni, Maria Di Majo, 78, e padre Giovanni Messina, 78.
Un “santo” molto famoso a Palermo è padre Giovanni Messina, anche per la casa degli orfani che ha costruito al Foro Italico, sfregiando la passeggiata a mare. Un pugno negli occhi che nasconde l’orizzonte delle onde, ma allora un misericordioso tetto per tanti piccoli in balia della strada. Il prete, detto “il pazzo di Dio” per il suo accanimento filantropico, anche da vecchio attraversa la città con un carretto per raccogliere cibo. La fatica dell’opera missionaria, le controversie con le autorità che a più riprese provano ad abbattere la struttura abusiva, non fiaccano le sue energie. Anzi apre centri simili a Misilmeri, Villagrazia, Villarosa e Santa Margherita Belice. Il prete degli orfanelli è instancabile. Corre sempre in soccorso dei bambini soli. Eccolo nel 1905 in Calabria e nel 1908 a Messina a scavare tra le macerie del terremoto. E poi rientrare a Palermo con tanti orfani da sfamare e accudire.
I sismi esaltano la propensione alla santità. Giovanni Battista Arista nato a Palermo nel 1863 e il barone giornalista Antonio Petyx (1874-1935), sono in prima fila per soccorrere sinistrati e bisognosi; quest’ultimo nonostante i nove figli generati con Maria Felice Mortillaro dei marchesi di Villarena, trova il tempo di correre in lungo e largo per la Sicilia per assistere gli sfollati del terremoto e di altre calamità. Una generosità che agli occhi del popolo lo fa diventare “il padre dei poveri”. E “l’apostolo della carità”. Questi i nomi degli altri protagonisti; servi di Dio: Vincenzo Diliberto (frate); Filippo Lo Verde (frate); Marianna Orsi (figlia di Sant’Anna); Nunzio Russo (prete); Angelo Cantons Fornells (missionario). Venerabili: Carmela Alesci (suora); Carolina Santocanale (suora) e Maria Magro (laica).
La storia più singolare è quella del principe Francesco Paolo Gravina (1800 – 1854). Si dedica, infatti, ai poveri dopo che la moglie, la nobildonna, Nicoletta Filangeri, dei super blasonati Cutò, lo tradisce con un altro aristocratico, Francesco Paolo Notarbartolo principe di Sciara. La disavventura delle “corna”, raccontate con toni lievi da don Mario, lo induce a una profonda conversione «che lo porta ad approfondire la dimensione spirituale dell’esistenza, a vivere nella penitenza e nella preghiera e ad entrare nel Terz’ordine Francescano nella Chiesa della Gancia». Spirito indomito, il principe, dopo i moti del 1848 aderisce alla Repubblica. Ne consegue la perdita del favore reale e di numerosi titoli. La disavventura non lo piega e continua nella sua missione di angelo protettore dei mendicanti. Non solo apre diverse strutture per la loro assistenza, intuisce che non basta sfamarli, ma è più importante aiutarli a recuperare la dignità del lavoro. Si può considerare un antesignano di Biagio Conte il laico che gestisce la missione “Speranza e Carità”.
di Tano Gullo
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