Qualche mese dopo la pubblicazione de “La società aperta e i suoi nemici”, la monumentale apologia dei valori liberali e democratici in mezzo a quel grande sonno della ragione che è stato il secondo conflitto mondiale, Karl Popper avviò un lungo e ancora oggi significativo carteggio con Rudolf Carnap, il noto epistemologo allora professore all’Università di Chicago. L’argomento? La politica, naturalmente.
Per sua stessa ammissione, il filosofo viennese era stato socialista fino a trent’anni, anzi, aveva addirittura militato (per breve tempo) nella gioventù del partito social-democratico austriaco. Come ebbe a scrivere: “Il socialismo era per me un postulato etico, nient’altro che l’idea della giustizia”. E ancora: “Se ci fosse stato qualcosa come un socialismo combinato con la libertà individuale, sarei ancora oggi un socialista”. L’atteggiamento di Popper fu quello di un intellettuale che mise davanti a tutto la libertà, perfino nel tempo più oscuro e difficile della storia europea, perché “tra non liberi, non c’è nemmeno l’uguaglianza”.
Risentendo della critica nietzschiana alla metafisica, Popper temeva che visioni ideali potessero portare ad autoritarismi e violenze, come puntualmente era accaduto, portando alla dimenticanza della critica e della discussione, anime della democrazia. Ma “la discussione è possibile solo là dove non ci si arroghi la pretesa di essere in possesso di verità assolute”, intese come strumento di dominio sugli uomini. E allora questa riflessione pone il quesito fondamentale: “Come ci è possibile controllare chi comanda?”.
In merito a questo cambiamento di posizione, se poi cambiamento è stato davvero, nel carteggio del 1946 Carnap espresse le sue perplessità riguardo il fatto che Popper si fosse avvicinato al pensiero di, allora ritenuto da alcuni addirittura un reazionario, arrivando a chiedere se Popper fosse ancora da annoverare tra i socialisti, o se fosse passato nel campo liberale.
In effetti, l’amicizia con Hayek ebbe un ruolo decisivo nella vita del filosofo viennese: fu solo grazie al suo aiuto di Hayek che riuscì a pubblicare “La società aperta” – negli anni della guerra Popper e sua moglie Josefine erano dovuti riparare in Nuova Zelanda per sfuggire alle persecuzioni antisemite. Il sostegno e la stima di Hayek non mancarono mai verso questo libero pensatore che aveva portato una ventata d’aria fresca nella filosofia politica contemporanea.
Ma la risposta alla domanda di Carnap si può intuire alla luce di ciò che accadde alla fondazione della Mont Pelerin Society, l’organizzazione volta alla promozione della società aperta e del libero mercato, voluta dallo stesso Hayek. Popper suggerì all’amico di non escludere intellettuali di tendenza socialista. ”È un fatto (per quanto possa essere deplorevole)” disse Popper, “che attualmente gli unici democratici di una qualche influenza in Europa siano i socialdemocratici e i democratici popolari”.
Hayek non ascoltò il consiglio di Popper, naturalmente, ma comunque ciò fa comprendere quale sia stato il proposito di Popper: ”La mia posizione è stata sempre quella di testare la riconciliazione dei liberali e dei socialisti”.
Di questi argomenti, della necessità e luminosità del pensiero critico, e di alcuni aspetti interessanti della vita di Popper, come della sua ricezione da parte degli intellettuali italiani del secolo scorso, si parla nel nuovo libro di Dario Antiseri (che di Popper è stato filologo e divulgatore nel nostro Paese), “La ragione nella politica” (Rubettino, 2018). Da questa lettura rimane la forza di un pensiero liberale come antidoto a qualsiasi dogmatismo o partito preso a priori, sicuramente un buon farmaco anche nel tempo delle fake news e della post-verità.
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