Ne abbiamo parlato con Antonio Selvatici, scrittore, docente del Master d’Intelligence economica presso l’Università degli Studi di Tor Vergata ed esperto di Cina, autore del libro “Cina: l’invasione globale. La «Nuova Via della Seta»: progetto per essere la nuova protagonista”. (Edizioni Rubbettino).
Selvatici fa anche parte, insieme ad altre personalità, della Task Force Cina coordinata dal sottosegretario Michele Geraci.
Circolano varie versioni del testo dell’accordo. Ma al centro vi è sempre la logistica e le infrastrutture. Che significa in soldoni?
“Guardi, non possiamo offrire le nostre strutture strategiche ai cinesi. I porti, non dimentichiamolo, sono strutture strategiche. C’è un po’ di pressappochismo in tutto quanto sta accadendo”.
In che senso?
“Non ci si rende conto di quel che si sta mettendo in piedi che francamente non ha senso”.
Spieghi, cos’è quesa Nuova Via della Seta?
“E’ una bufala chiamarla Via della Seta. Evoca i fasti del 1400. Questo invece è un progetto globale. Per i cinesi esiste una Via della Seta Artica, una Via della Seta dell’Africa, una dei cavi (le grandi autostrade dei dati sono i cavi sottomarini: le infrastruttura strategiche dove passa il 99% della connettività globale), una Via della Seta che interessa il Venezuela, una su Panama. I cinesi si stanno muovendo da anni su scala globale con lo stesso progetto. Non stiamo vivendo nel romanticismo buonista del racconto di Marco Polo. Questa accezione è una manipolazione che ci vogliono far bere”.
E cosa vogliono davvero i cinesi?
“Ad esempio a Trieste non vogliono semplicemente il porto ma la ZES, la zona economica speciale. Il porto è il modo per arrivare alla ZES. Sono cioè zone a fiscalità agevolate in cui i cinesi poi impianteranno le proprie imprese. Lo hanno già fatto anche nel mediterraneo come in Egitto dove hanno una ZES. Ma questo non ce lo verrà mai a dire nessuno soprattutto in questa fase”.
E come competeranno le imprese italiane con una cosa del genere? Sarà un disastro…
“Infatti, non potranno competere. In più le condizioni di lavoro delle imprese cinesi non sono le nostre”.
Cosa contengono questi accordi preliminari che si firmeranno?
“Il contratto sarà abbastanza vuoto di contenuti ma quel che preoccupa è il suo effetto politico”.
Spieghi meglio…
“Parliamo intanto di tecnica politica. Si sta muovendo il sottosegretario allo sviluppo Economico Michele Geraci. Si dovrebbe muovere invece la Farnesina, cioè il ministero degli Esteri. Geraci è un tecnico ed ha vissuto a lungo in Cina ma non è il soggetto che dovrebbe muoversi. Infatti non si capisce il senso e il perché di questo balzo in avanti”.
Cioè?
“Fatto così, senza capire l’insieme è un balzo nel buio. Un balzo in avanti dell’Italia rispetto a degli accordi presi in Europa che sono differenti. L’Europa, in primis la Germania, sta facendo retromarcia sulla visione che si ha della Cina; vuole rallentare rispetto a quanto fatto, elaborando politiche di prudente contenimento rispetto alle politiche di apertura quasi totale del passato”.
Se si andrà in questa direzione che conseguenza avrà questa accelerazione sulla nostra economia e sul sistema del lavoro?
“Ci sono già e sembrano irrefrenabili, tanto più con queste scelte francamente superficiali. I governi precedenti hanno messo le basi. Faccio un esempio. Consegnai una relazione tempo fa dove scrissi che con l’avvento dell’auto elettrica ci sarebbero stati grossi licenziamenti in Europa. Pochi giorni fa è stata resa pubblica la notizia che il gruppo Volkswagen ha annunciato 7000 esuberi. E parlo del gruppo Volkswagen, non di un piccolo gruppo. E sa dove Volkswagen sta costruendo i più grandi stabilimenti di autoelettriche?”
Immagino…
“Li sta costruendo in Cina. Fate voi le vostre considerazioni…”.
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