“Tutto girava intorno a mio padre e io ero la luce dei suoi occhi. Lo capivo dal suo sguardo, dai suoi atteggiamenti. Erano i giorni della vita e del sole, della luce e dell’aria. Tutto brillava intorno a me che vivevo di piccole cose, di granelli, di pulviscoli quasi invisibili. Tutto era per me come una festa. E poi c’era la fiducia di mio padre, il collante perfetto per superare tutti gli ostacoli. Era come volteggiare nell’aria con le farfalle di maggio. C’erano i canti delle donne, i discorsi con Andrea lo spaccapietre e la nostra prima e unica strada da completare. E alla fine, sopra tutto questo, c’era mio padre che troneggiava come un gran condottiero, che lottava per la libertà del suo popolo”. Frammenti tratti dal libro “Via dall’Aspromonte” di Pietro Criaco, edito da Rubbettino. Ambientato alla fine degli anni ’50 ad Africo, il libro ci trasporta in un mondo lontano dove mancava il necessario, dove si camminava a piedi scalzi, ma c’erano più sorrisi, legami sinceri e una grande volontà di lottare per quello che si credeva fosse importante. La storia è raccontata in prima persona da Andrea, un bambino di Africo. Una donna muore di parto, perché il dottore non riesce ad arrivare in tempo dal momento che non esiste una strada di collegamento. Dopo questa morte e con la tragedia di un bambino rimasto orfano, alcuni abitanti del paese, guidati dal padre di Andrea, scendono a Bova Marina per rivendicare la presenza di un medico condotto ma, consapevoli che dal sindaco non otterranno nulla, decidono di costruire, con le pietre, una strada per uscire dall’isolamento e soprattutto essere persone come le altre. Lavorano alacremente a questo progetto oltre al padre del narratore, mastro Andrea lo spaccapietre, Santoro con la sua ruspa, Filippo il carpentiere, altri con pale, seghe, mazze, tanta energia e sudore. C’erano le donne che arrivavano, verso mezzogiorno, con delle ceste sopra la testa. Il sogno da realizzare era più importante della fatica, della paura e soprattutto valeva il detto: “Quando non hai niente, non hai niente da perdere”. Per tutti era un momento di festa e di vicinanza. I personaggi sono veri, vivono delle contraddizioni nel bene e nel male e questo permette che si crei una forte empatia con il lettore. Alla costruzione della strada si oppongono il sindaco della Marina, perché ha troppi interessi politici e il malavitoso Don Totò che intende mantenere il suo potere sul territorio. La grinta e determinazione spingono gli abitanti a non arrendersi e in mezzo a queste vicissitudini, Andrea apprenderà tante lezioni di vita. La sua rivalsa arriverà venti anni dopo quando, ormai ingegnere, potrà iniziare, con l’approvazione di Provincia e Regione, i lavori per una strada cha da Africo porterà al mare.
Prima di iniziare a scrivere c’è sempre qualcosa che scatta dentro e spinge per metterla su carta. Pietro Criaco ha raccontato così il suo inizio: “Mi ha colpito il fatto che si diceva che ad Africo non esistevano strade di collegamento con il mondo esterno. Questa cosa m’inquietava e affascinava allo stesso tempo. Questa storia dell’isolamento e della precarietà, dove lo Stato era assente chiedeva, a gran voce, aiuto. L’unico mezzo possibile per raggiungere la salvezza sarà l’utopia, espressa attraverso la voce narrante del protagonista.”
Dalla poesia del libro di Pietro Criaco si è trasportati nel racconto del film diretto da Mimmo Calopresti, le cui riprese sono iniziate il 22 ottobre tra Ferruzzano e Africo. Il film è una produzione Italian International con Rai Cinema, prodotto da Fulvio e Federica Lucisano, scritto da Mimmo Calopresti con Monica Zapelli, già autrice de “I cento Passi”. È interpretato da Francesco Colella, nel ruolo di Peppe, colui che muove gli animi alla rivoluzione; Valeria Bruni Tedeschi nei panni di Giulia, una maestra elementare del Nord che arriva ad Africo a dorso d’asino e vuole insegnare l’italiano: “Se Africo entrerà nel mondo grazie alla strada, i ragazzi dovranno conoscerlo prima imparando a leggere e scrivere”; Marcello Fonte – premiato al Festival di Cannes come migliore attore protagonista per “Dogman”, film candidato italiano agli Oscar 2019 – è il poeta che all’inizio prende sottogamba l’importanza della strada; Sergio Rubini è il boss di turno, mentre Marco Leonardi è il suo antagonista. Una parte è stata affidata anche al sidernese Marco De Leo. Ruolo principale è quello dei bambini, in particolare il piccolo Francesco che interpreta Andrea. Intorno a questi attori ruotano tante comparse, scoperte grazie ai casting aperti nella Locride e realizzati da Lele Nucera.
In questo film c’è molto amore per la Calabria e Africo che, nell’etimologia greca vuol dire “schiuma”, è un luogo dell’anima. Il messaggio è il riscatto sociale, la strada rappresenta il cambiamento e in Calabria si respira il vento del cambiamento: qualche anno fa un film sulla Calabria si preferiva girarlo altrove, oggi invece si decide di investire in questa Regione. Il pregiudizio, che per secoli ha marcato questa Terra, sta perdendo colpi e questo per merito di un’unica arma: la cultura che permette di riconoscersi e di conoscere. Al dibattito culturale, presso la libreria Mondadori di Siderno, moderato da Maria Teresa D’Agostino, Mimmo Calopresti, alla presenza dello scrittore Pietro Criaco, del direttore editoriale di Rubbettino Luigi Franco e di alcuni attori del film, ha espresso il suo desiderio di rappresentare, attraverso questo film, un popolo e di rompere con le solite etichette, compresa quella ci vuole paese di ‘ndrangheta, che ci hanno sempre penalizzato.
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