Questo fine settimana la famiglia socialista, rappresentanti di altri partiti (purtroppo non ci sarà il Pd) ricorderanno il ventennale della morte di Bettino Craxi ad Hammamet.
Il film di Gianni Amelio ha cambiato lo stato emotivo del caso Craxi. Molte ostilità preconcette, basta leggere i social, sono rimaste ma la figura del leader socialista ha commosso per il suo tragico destino di capro espiatorio e per la dignità con cui ha affrontato la caduta e la fine. Sono stati pubblicati alcuni libri e di uno di questi mi voglio occupare qui.
Fabio Martini, commentatore politico della Stampa, giornalista di notevole livello, ha scritto per Rubettino (una piccola casa editrice calabrese con un bel catalogo) Controvento che è, a mio parere, il testo analitico più completa dell’intera vita politica, e intima, di Bettino Craxi. È un testo affascinante per la sua straordinaria sobrietà – pur essendo l’autore vicino alle ragioni di Craxi – e per la capacità di ricostruzione oggettiva di fatti e dei ruoli di tutti gli attori di questa drammatica vicenda.
LA PUBBLICISTICA SU CRAXI TROPPO INFLUENZATA DAL GIUSTIZIALISMO
La fine politica e la morte fisica di Craxi sono forse l’emblema più esemplare di come sia stata distrutta una intera stagione democratica. Spesso la pubblicistica, anche per responsabilità della potente corrente giustizialistache domina i giornali e anche i partiti, e purtroppo quelli post-Pci (tranne Massimo D’Alema) – riduce la vicenda del leader scomparso a fatto criminale o gli riconosce, in uno sforzo di equanimità, solo di essere stato un grande leader e di aver fatto una cosa sola significativa, far circondare i marines americani dai carabinieri a Sigonella.
Craxi portò alla ribalta politica un anticomunismo democratico che non si vergognava di sé, privo di sensi di inferiorità, armato culturalmente alla battaglia
Sono affermazioni che hanno valore ma che rivelano una incapacità della politica e degli intellettuali politici di analizzare uno dei passaggi cruciali della storia d’Italia. Martini non fa questo errore. Martini racconta la biografia del più autonomista e anticomunista socialista italiano. È bene tenere a mente queste definizioni. Craxi era un socialista autonomista, sulla scia di Pietro Nenni e di altri grandi leader del Psi (lo era anche Riccardo Lombardi, il mio preferito), ma Craxi portò alla ribalta politica un anticomunismo democratico che non si vergognava di sé, privo di sensi di inferiorità, armato culturalmente alla battaglia. E fu e rimane socialista. Lui.
QUELL’IDEA DI ITALIA MODERNA PORTATA AVANTI DAL LEADER DEL PSI
Dov’era il tratto anticomunista originale di Craxi? Certo era nell’ideologia, nella critica dell’ideologia comunista e nel tentativo di svincolarsi dalla potente e invadente macchina politica messa su in modo straordinario da Palmiro Togliatti. Ma era fondamentalmente nell’idea, lo scrive bene Martini, che l’Italia fosse un grande Paese a cui servivano riforme che abbracciassero la vita istituzionale, la vita economica, il senso comune. In questo senso dire che Craxi fu uno statista o un grande statista, non basta più.
Craxi tentò una rivoluzione democratica, molto “scostumata”, che cercava di modificare un modello repubblicano uscito dai primi anni del Dopoguerra. Lo fece con paziente lavorìo, con la passione del totus politicus, con uno sguardo alle cose del mondo che lo portarono a scelte gigantesche, dai missili, a Sigonella, alla solidarietà attiva e finanziaria verso i movimenti che si opponevano in Europa e nelle Americhe contro le dittature. La disinvoltura con cui gestì quella che chiamammo la questione morale nacque anch’essa da una intuizione politica (discutibile): la politica deve autofinanziarsi, tutti lo facciamo allo stesso modo, troviamo una strada comune per uscire.
BETTINO NON COLSE IL DILAGARE DEL SENTIMENTO ANTI-CRAXIANO
Craxi andò a sbattere contro tre iceberg. Il primo autoprodotto. Il leader socialista non capì, se non alla fine, quante energie contrarie stava creando e nel suo rifiuto del populismo non colse il sentimento anti-craxiano che dilagava, sollecitato dai partiti avversi, dal Pci, al Msi, alla Lega. Craxi ebbe di fronte a sé l’iceberg rappresentato da un gruppo potente su cui esistono poche ricostruzioni, cioè la procura di Milano, protagonista nella strategia di scardinare l’assetto istituzionale nella pur giusta lotta contro la corruzione. Stiamo parlando della procura più politicizzata del mondo, poi ne verranno anche altre, Palermo compresa, la cui cultura è oggi esemplarmente mostrata dalle posizioni agghiaccianti del dottor Piercamillo Davigo. Infine Craxi si scontrò con l’iceberg comunista. Questo iceberg era, scusate il paradosso, fiammante, soprattutto nella fase in cui si stava sciogliendo. Lo scontro con Enrico Berlinguer, come racconta Martini, creò una rottura emotiva con la sinistra che è tuttora insanabile.
La guerra dentro la sinistra affonda le sue radici nella frattura tra Psi e Pci
Il dato paradossale di questa guerra che non finirà mai, malgrado alcuni di noi cerchino di mettere pace, è che essa appartiene interamente alle ragioni del passato. Il craxismo oggi è superato dal cambiamento radicale della politica. Il comunismo italiano, con la caduta del comunismo sovietico, ha visto venir meno persino le ragioni della scissione del ’21. Eppure lo scontro a sinistra resta aperto. Servirebbe un passo avanti e i libri come quello di Fabio Martini ci aiutano perché portano fatti, analisi, suggestioni. Chi scrive è stato intensamente figlio del Pci e ammiratore di Enrico Berlinguer, ma alla luce di ciò che ha imparato in questi anni trova molte delle scelte di quel periodo completamente errate. Soprattutto quella reazione di lesa maestà per cui il Pci visse l’uomo Craxi come un nemico assoluto.
LA GRANDE OCCASIONE DEL 1989 BUTTATA DA SOCIALISTI E COMUNISTI
Craxi agli occhi della cultura comunista, soprattutto negli anni berlingueriani, era l’esatto contrario dell’«uomo nuovo», il vero bambolotto di pezza dei militanti del partito che, a mio avviso, non credevano nel regime sovietico ma credevano in una trasformazione sociale che avrebbe portato all’«uomo nuovo». Craxi, invece, era figlio dei tempi, persino troppo figlio di quei tempi, al punto da non capire che stavano finendo. L’89 ci fu la grande occasione per riprendere una strada comune. Craxi non lo capì, gli ex comunisti cercarono scorciatoie. Poi vennero gli anni tunisini e tutti questi ventanni in cui, a parte dichiarazioni importanti di D’Alema e Piero Fassino, nessun dirigente ex Pci ha riflettuto sulla figura del grande antagonista. Io, nei loro panni, avrei fatto meno autocritiche, mi sarei risparmiato frasi buffe – penso a Fassino e Walter Veltroni, tipo: non sono mai stato comunista – ma mi sarei misurato con le idee del vecchio caro nemico. Capire quella guerra a sinistra può a aiutare a ricostruire.
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