Da Corriere della Sera 10 giugno
Quando erano in vita, Gaetano Salvemini e Giovanni Gentile non avrebbero mai pensato che un giorno i loro nomi sarebbero apparsi nello stesso elenco di personalità del «mondo liberale». Lo storico antifascista pugliese fu verso la classe dirigente liberale un critico severo, a volte ingiusto. Il filosofo siciliano si convinse dopo la Grande guerra che l’epoca liberale fosse terminata e diede al fascismo un’adesione convinta, confermata (e pagata con la vita) nel cupo epilogo di Salò. Inutile dire che i due si collocavano agli antipodi l’uno dell’altro. Possono quindi sorprendere i criteri con cui è stato realizzato il secondo tomo del Dizionario del liberalismo italiano (Rubbettino, pagine 1.166, euro 48), curato da una qualificata équipe di studiosi: Giampietro Berti, Dino Cofrancesco, Luigi Compagna, Raimondo Cubeddu, Elio D’Auria, Eugenio Di Rienzo, Francesco Forte, Tommaso Edoardo Frosini, Fabio Grassi Orsini, Giovanni Orsina e Roberto Pertici. Mentre il primo tomo era di carattere tematico, questo raccoglie biografie. E il compito di scegliere 404 vite esemplari non era agevole, perché i confini del liberalismo sono sempre stati incerti. Era inevitabile tenere conto anche di chi vi arrivò dal socialismo, come Ivanoe Bonomi, o di chi poi passò al fascismo, come appunto Gentile e Gioacchino Volpe. Per non parlare del filone liberalsocialista e azionista, da Carlo Rosselli a Norberto Bobbio.
Perciò i curatori hanno scelto di includere anche personalità che abbiano avversato il liberalismo, purché la loro critica abbia contribuito a una revisione positiva di quella corrente, «o a fare in modo che il metodo liberale venisse accettato da altre culture politiche». Così hanno mostrato un lodevole intento di apertura, ma hanno pagato un prezzo in fatto di esclusioni. Per quanto riguarda gli azionisti, ci si può chiedere perché includere Luigi Russo e non Piero Calamandrei o Leo Valiani. In campo cattolico, perché accogliere Luigi Sturzo e Giuseppe Pella, lasciando fuori Alcide De Gasperi e Mario Scelba. D’altronde gli stessi curatori ammettono l’assenza di «figure importanti che invece avrebbero dovuto esserci». E propongono come rimedio la previsione di un’edizione ordine, con cui colmare le lacune.
Un altro dubbio può poi sorgere in fatto di delimitazione temporale. Partire dagli inizi del XIX secolo ha portato infatti a non considerare i grandi esponenti del «Settecento riformatore» (uno per tutti: Cesare Beccaria) che furono i precursori del Risorgimento. Tutto è opinabile, ma un atteggiamento più selettivo verso le personalità vissute in seguito avrebbe forse consentito di includere almeno i nomi più importanti di quella stagione.
Di Antonio Carioti
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