Da Il Manifesto del 16 febbraio
Ogni giorno siamo raggiunti da notizie tragiche che riguardano il presente e il futuro della Libia e rispetto alle quali occorre «orientarsi», rituffandoci nella storia complessa di questo paese, a partire dalle vicende del lontano Impero ottomano, da quelle scandalose della nostra colonizzazione e ancor più da quelle inerenti ai rapporti di forza interni alla società africana. Il libro di Simona Berhe, dal titolo Notabili libici e funzionari italiani: l’amministrazione coloniale in Tripolitania (Rubbettino), ci aiuta in questo, mostrando come lo spessore di una conoscenza storica sia uno degli antidoti migliori alla confusione e agli stereotipi.
Si tratta di una ricerca molto ricca, rispetto alle fonti usate, alla metodologia e ai risultati raggiunti. Al centro della narrazione non vi sono solo le vicende dell’amministrazione italiana in colonia, ma anche e soprattutto quelle dei libici, a partire dalla resistenza (contro il colonialismo) e dalla ribellione (contro il vecchio sistema di potere ereditato dall’Impero ottomano), che Berhe non solo ricostruisce nei particolari, colmando una lacuna, ma anche inquadra da un punto di vista concettuale di ampio respiro. Il libro segue un filo rosso ben preciso: analizzare le istituzioni politiche coloniali e non, intendendole come gli «argini entro cui scorre il fiume del potere». In tal senso, scrive l’autrice, la storia delle istituzioni politiche della Tripolitania (in specie da 1912 al 1919) «è il resoconto di continui straripamenti del fiume», dovuti all’inadeguatezza delle soluzioni predisposte dai colonizzatori. Restando fedele a questa premessa, il libro si concentra contemporaneamente sia sulle tappe fondamentali della costruzione di strumenti amministrativi adeguati all’esercizio dell’autorità coloniale, sia sui processi di reazione che il colonialismo innesca. Tuttavia, e qui sta uno dei punti qualificanti del libro, se il colonialismo incide profondamente sulle strutture e gli equilibri preesistenti, così come sui destini futuri del paese, al contempo la reazione e i moti di ribellione provenienti dalla società libica influenzano a loro volta le vicende di esso, non solo condizionando le «mosse» dei colonizzatori, ma soprattutto riuscendone a plasmare autonomamente gli assetti istituzionali.
La lettura di Berhe è ancora più innovativa sulla scia di quanto sottolineato dalla storiografia libica, l’autrice individua altre linee di frattura che attraversano il paese, diverse di quelle appartenenti al solo conflitto colonizzati/ colonizzatori. Basti pensare allo scontro tra i vecchi ceti dirigenti sin da subito postisi sotto la protezione del governo coloniale e la nuova leadership tripolitana, non priva di tratti ambigui. Proprio ai protagonisti del movimento del jihad viene dedicata una ricerca approfondita, capace di rintracciare quegli elementi che ne favorirono una forte presa sulla popolazione e la costruzione di una egemonia sempre più ampia.
Da un punto di vista metodologico, è proprio da studi come questo che è possibile ricavare l’importanza di analisi interdisciplinari, tramite le quali solamente si compie un’operazione storiografica di grande rilievo: incorporare l’esperienza coloniale nella storia d’Italia, del suo apparato burocratico e del suo ordinamento giuridico, in modo essenziale e non giustapposto. La sfida più ardua ma cruciale del cambiamento storiografico in corso è quella di non smarrire la complessità delle dinamiche presenti negli incontri, scontri, nelle negoziazioni, ibridazioni, nell’assoggettamento e nelle lotte dei soggetti colonizzati; le ambiguità proprie di un sistema di comando nel quale determinate variabili e soprattutto il rapporto con i governati cambiano di volta in volta il quadro complessivo, la specificità dei processi di soggettivazione complicati nel discorso coloniale. Un’ultima considerazione, infine, alla luce delle importanti pagine dedicate alle esperienze di autogoverno dei libici durante il cosiddetto quadriennio ribelle (’14-’18). È infatti proprio la vicenda de progetti istituzionali dei ribelli a indurci una definizione delle istituzioni più estesa utile per un percorso di rinnovamento di questo concetto, così come per una nuova stagione di conflitti del nostro presente.
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