Quantità quasi mai è sinonimo di qualità. A confermare questa tesi è un recente agile volumetto scritto a quattro mani da Danilo Breschi e Flavio Felice: Ciò che è vivo e ciò che è morto del Dio cristiano (Rubbettino 2021, pp. 106, € 13). I due autori, infatti, danno vita in poche ma intense pagine ad un fitto e stimolante dibattitto che riguarda il retroterra culturale e il destino del continente europeo, così come lo stato del sentimento religioso, e del cristianesimo in particolare, nell’ambito di questo piccolo spicchio geografico di mondo, ma dal grande carattere identitario.
Singolare è la genesi del libro stesso, il che si riverbera poi nella struttura del lavoro. Esso nasce infatti dall’idea di Breschi, direttore scientifico della rivista «Il Pensiero Storico», di sottoporre a svariati studiosi un questionario articolato in dieci domande in merito a Ciò che vivo e ciò che è morto del Dio cristiano, che è per l’appunto il titolo del secondo numero dell’anno 2020 della rivista sopracitata. In seguito alle risposte offerte da Felice, ne scaturisce un dialogo poi sfociato in questo prezioso libro.
Gli autori sono concordi su un punto cruciale: l’Europa non è una mera zona geografica né, tantomeno, costruzione ingegneristica di artificio umano (si legga Unione europea). Essa è un’idea dotata di una storia e di una cultura. Anzi, è incontro e scontro di più idee, culture, religioni. Come scrisse Gonzague de Reynold, infatti, il fondamento dell’Europa può essere considerato «il contrasto, l’opposizione, la diversità, la complessità». E si può ben affermare che, come ha rammentato Dario Antiseri in un altro pregevole – e complementare a questo – volumetto sul tema (L’anima greca e cristiana dell’Europa, La Scuola 2018), se l’Europa è quello che è lo deve all’incontro fruttuoso e fecondo avvenuto tra lo spirito critico greco e quell’anti-idolatria tipica del cristianesimo che fa della persona sostanza prima ineffabile e, per dirla con Rosmini, «diritto umano sussistente».
Come si è detto, la struttura del libro vede articolate dieci domande alle quali ciascuno degli autori fornisce la propria meditata e articolata risposta. Si va dal giudizio sull’aforisma 125 contenuto ne La Gaia Scienza di Nietzsche sull’assassino di Dio al rapporto tra cristianità ed Europa a partire dall’omonimo testo di Novalis, per arrivare a discutere sul futuro dell’Europa, intesa come idea, cultura e bacino identitario, e sull’operato di Papa Francesco. Ciò che si nota è una visione forse più pessimista – o realista? – di Breschi, sulla scorta di ciò che l’autore vede intorno a noi, contrapposta ad una maggiormente imperniata su quella virtù teologale troppo spesso sottoposta ad un bolso e fiacco ottimismo: la speranza.
Entrambi gli autori si dicono preoccupati di come lo spazio del sentimento religioso, soprattutto a livello di arena pubblica, sia ormai pressoché esaurito. Alla salvezza dell’anima, nota Breschi, si va sostituendo sempre più un interesse smodato per il benessere e la salute fisica: che resta così della dimensione spirituale tipica dell’uomo europeo? Secondo Felice, espungere la religione dalla propria vita e dal dibattito pubblico significa menomare la persona e la sua domanda di senso che sempre affiorerà. Ridurre la persona a particella massificata, a granello di sabbia, magari solo concentrato sui beni materiali e su un individualismo falso equivale a non comprendere come la vita stessa, per dirla con Wilhelm Röpke, si giochi «al di là dell’offerta e della domanda».
La questione su cui con tutta probabilità gli autori si trovano a divergere maggiormente riguarda l’operato di Papa Francesco. Secondo Breschi, infatti, netta è la divaricazione rispetto ai precedenti papati (Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, in particolare). L’attuale Papa, nota Breschi, ha posto al centro della sua attenzione non la salvezza dell’anima, bensì il benessere psicofisico dell’uomo. In tal modo, il soggettivismo estremo, eredità del Sessantotto, ha visto porre al centro del discorso l’uomo e non più Dio. Si è così passati dal sostenere i diritti di Dio e i doveri dell’uomo, argomenta Breschi, all’affermare i doveri di Dio e i diritti dell’uomo. Secondo Felice, al contrario, il pontificato di Francesco si pone in continuità coi predecessori, criticando in particolare il primato del potere e del denaro sull’uomo, inaridendo la dimensione della solidarietà fraterna che lega ogni creatura di Dio ai propri fratelli.
Ad ogni modo, sia Breschi che Felice si ritrovano nell’idea di de Reynold che il male dell’Europa sia prima di tutto «un male spirituale». Il primo, richiamando i moniti di Joseph Ratzinger e il cardinale Kurt Koch sulla fiacchezza e l’odio di sé che l’Europa manifesta costantemente e sempre più, il secondo rammentandoci un invito di Karol Woytila sulla riscoperta delle proprie radici: «Ti rivolgo, o vecchia Europa, un grido pieno d’amore: torna a te medesima, sii te stessa! Riscopri le tue origini, ravviva le tue radici. Rivivi quei valori autentici che hanno fatto gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza tra gli altri continenti».