Da Le Monde Diplomatique (Il Manifesto) di maggio
A giudicare dall’uso indiscriminato del lemma per esorcizzare «il nemico», il rischio non si può escludere. Ed è per questo che un libro articolato sui tre versanti della storia, della politica e del diritto è un contributo utile a venire a capo dell’«ambigua varietà di significati» (Chiarelli) che il populismo può assumere. La scelta del curatore, che ha raccolto gli atti di un convegno tenutosi nell’Università G. Marconi, di affrontare il tema innanzitutto come «patologia della democrazia» collocandolo storicamente in Italia in un periodo che va «dal fascismo ai nostri giorni», sondando poi «gli stili comunicativi», appare felice.
Se infatti è corretto considerare il populismo agente sintomatico di degrado della democrazia è altrettanto necessario distinguerlo dall’atteggiamento antipolitico che tutt’al più ne costituisce una tipologia. Anche perché l’antipolitica è un concetto che si è riempito storicamente dei contenuti più diversi, che vanno dal rifiuto egoistico a prendere partito all’estrema necessità di autodifesa. Tra i saggi che vanno alle radici del problema, il recupero delle riflessioni di Canetti sul ‘rapporto fra massa e potere’ (A. Arciero) appare più che mai attuale, innanzitutto perché il noto autore, che ha vissuto l’ascesa del nazional-socialismo, ha sperimentato su di sé l’enigma di quella «vera e propria pulsione che in contrasto con quella della personalità» induce «gli individui a farsi massa»; e in secondo luogo perché «l’ansia classificatoria di Canetti», per dirla con Arciero, produrrebbe ben 280 possibili varianti dell’idealtipo populismo, con buona pace di chi ne privilegia una semplicistica reductio ad unum!
La seconda parte ha il merito di attraversare un secolo di storia italiana dal fascismo a Casa Pound. Se la riflessione sul fascismo di Armellini conferma le molteplici facce del populismo perché «ambivalenze, ambiguità e polisemie tendono a fare… del populismo una visione impalpabile ed impermeabile» giacché «l’antielitismo non può essere considerato l’unico suo elemento qualificante», sarebbe altrettanto errata l’equazione populismo/fascismo. Anche perché alla propaganda che serviva a manipolare il popolo corrispose, nella fase di stabilizzazione del regime, la razionalizzazione dell’organizzazione e delle istituzioni. La parte più originale della ricerca di Chiarelli riguarda la dialettica populismo/costituzione e dunque la dicotomia populismo democrazia, una dicotomia che riguarda anche quella «democrazia progressiva» che il Pci fin dall’Assemblea Costituente lanciò come alternativa alla «democrazia liberale». Che la base della costituzione sia il popolo sovrano esclude già «una irriducibile tensione tra populismo e costituzionalismo», che fa salva la rappresentanza perché «la finzione dell’unità del popolo non è estranea né ai movimenti populisti, né agli ordinamenti costituzionali democratici». Il volume si chiude con una breve ma vivace sezione sugli «stili comunicativi del populismo» tra cinema e una e-democraty, che ha catapultato il ‘movimento 5 stelle’ al centro del dibattito sul neo-populismo italiano. Alla rivalutazione elettoralistica della pop-politics, veicolo di autonomia, libertà e partecipazione, fa riscontro il dubbio sulla figura del cybergguru che se anche produttore e controllore della rete, come nel caso di Casaleggio, diviene un leader carismatico-cibernetico la cui presenza mediatica suscita perplessità.
Che dire? Il dato che emerge con chiarezza è che troppo spesso l’accusa infamante di populista colpisce ‘chi non ci sta’ a considerare una «global governance» sempre più tecnocratica, mercatilista, a-democratica, una realtà incontestabile e assolutamente irreversibile.
di Carlo Amirante
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