«Ha almeno sette o otto nomi l’ammiraglio ottomano immortalato nella scultura bronzea (opera di Giuseppe Rito) di Le Castella, il borgo di Isola Capo Rizzuto, dov’è nato e cresciuto, fino a quando non venne rapito, in circostanze drammatiche, dai pirati turchi e avviato alla vita dura di schiavo del “remo” che precedette la conversione alla fede musulmana, e poi l’ascesa sociale, in quel mondo “rovesciato” che era la Costantinopoli (l’attuale Istanbul) cinquecentesca. Lo chiameremo “Uccialì”, che è il nome che utilizza la storica Mirella Mafrici che ricostruisce la figura carismatica Giovan Dionigi Galeni (il vero nome) nel libro “Uccialì” (editore Rubbettino, pagine 148, euro 14). Sono state scritte tante biografie sul marinaio calabro-turco, diventato re di Algeri: ricordiamo, tra le tante, “Vita di Occhialì” di Gustavo Valente (Ceschina editore 1960) e “Il Grande Ammiraglio” di Enzo Ciconte (Rubbettino editore, 2018) ma a Mafrici, storica dell’Università di Salerno, va riconosciuto il merito di ricerche approfondite e dell’utilizzo di fonti ancora inedite, reperite in archivi e biblioteche italiane e straniere, ma soprattutto dell’avere inquadrato la figura del “Tignoso” (nome dovuto alla tigna, che lo aveva colpito già da giovane) nel contesto ampio della “grande storia” del Mediterraneo. Scelta di grande rilevanza storica, dal momento che Uccialì, grande ammiraglio, domina a lungo la scena del mare nostrum, nel secolo XVI. Quella del condottiero turco, di origine calabrese, è una prodigiosa carriera, che attraversa eventi rilevanti: la conquista di Tripoli, il confitto di Gerba, l’assedio di Malta, fino alla battaglia di Lepanto, che è l’episodio nel quale il “calabrese”, al comando di una flotta dello schieramento ottomano, dimostra le grandi capacità di comandante. E’ l’unico, tra i turchi, ad aver evitato in quella battaglia cruciale per i destini dell’Occidente, la sconfitta. Nessuno, nello scenario mediterraneo, riuscì a compiere imprese tanto memorabili, come Uccialì, e nessuno, dopo la sua scomparsa, “ricomincerà una carriera come la sua” certifica lo storico francese Fernand Braudel, che Mafrici cita giustamente come autorevole testimonianza dell’interesse degli studiosi per il calabro-turco. Molti, sono stati i meridionali come lui divenuti protagonisti della scena, in un contesto come quello delle incursioni turco-barbaresche e del conflitto tra musulmani e cristiani: dal calabrese Uccialì al messinese Sinan Pascià Cicala, dal trapanese Moustafà Pascià, bey di Tunisi e prima di Alessandria, al palermitano Osta Mami. Non si conosce la dinamica dei fatti relativi al suo rapimento ma come accadde al altri catturati sulle coste italiane, il sequestro, dopo i primi tempi di schiavitù, anche per Uccialì, divenne un’opportunità. Venduto come schiavo al mercato di Costantinopoli, acquistato da Ja’far Pascià, divenne, col tempo, una leggenda: personalità audace e temeraria, temuta e ammirata, che ha affascinato studiosi di due mondi contrapposti e di “credi” differenti, il musulmano e il cristiano. Fu l’erede di Barbarossa e di Dragutt, “terrore del Mediterraneo”, sottolinea Braudel. Un calabrese di successo nella Costantinopoli del Cinquecento, assurto alle più alte cariche dello Stato. Lui, ricorda Gülru Necipoğlu, storica turca dell’Università di Harward, riportando l’iscrizione sul suo sepolcro di Istanbul, è stato uno dei più grandi marinai: ha scritto una gloriosa pagina della storia turca. Nello scenario mediterraneo la sua scomparsa suggellò la fine di un’epoca. Il complesso architettonico che accoglie, nell’odierna Istanbul, il suo monumento funerario, e che affascina tuttora i visitatori per la sua maestosità, comprende la moschea, la scuola coranica e l’hammam. “La sua flotta, è sempre stata la più forte del Mediterraneo”, ricorda l’epigrafe posta sulla sua tomba».
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