Lorenzo Infantino non è solo un professore: è un autentico maestro. Per generazioni di italiani (e non), è con pochissime altre personalità un uomo che ha tenuto e tiene accesa la fiamma del pensiero liberale – politico ed economico – in lunghi anni in cui, da parte dell’accademia “ufficiale”, della cultura asservita e conformista, per non parlare della politica, l’opera dei più – e dei più potenti – è consistita nello spegnerla, nel soffocarla, o nel creare confusioni distraenti, diversive, distorsive.
Con amore delle idee, e con un’ammirevole inflessibilità nel combattere una lunga battaglia culturale (e in quella battaglia non può esserci cedimento né compromesso!), Infantino tiene vivo un pensiero antico e modernissimo, non si stanca di farlo conoscere, di renderlo nuovamente disponibile, e di mostrare come alcune risposte siano più che mai valide per l’oggi e per il domani, per evitare il peggio e non precluderci definitivamente il meglio.
Per l’editore Rubbettino, Infantino ha appena pubblicato un piccolo gioiello, e cioè il “resoconto” che David Hume, il grande filosofo scozzese, scrisse a proposito del suo rapporto con Jean-Jacques Rousseau. Su quest’ultimo, esce fuori un quadro davvero eloquente di miseria umana, che si aggiunge alla ben nota pericolosità del suo pensiero filosofico e politico. E, quel che più conta, Infantino illumina non solo la distanza incolmabile di Rousseau rispetto alla visione liberale di Hume, ma pure nei confronti di gran parte dell’illuminismo francese, da Voltaire a D’Alembert: aspetto, quest’ultimo, a mia memoria mai messo in luce in modo così potente ed efficace.
Le circostanze che fanno da sfondo all’incontro sono forse già note ad alcuni. Lord Hertford chiede a Hume di accompagnarlo a Parigi come segretario d’ambasciata. Il filosofo scozzese esita, ne scrive ad Adam Smith, poi accetta. E trascorre a Parigi un periodo meraviglioso, forse tra i più belli della sua vita, annota Infantino: accoglienza straordinaria, grandi riconoscimenti, apprezzamento sincero. In questo quadro, quando Rousseau si trova nei guai, è minacciato di arresto e cerca esilio, la contessa de Boufflers (nobildonna anglofila, animatrice di cultura e sincera ammiratrice di Hume) chiede al filosofo scozzese di aiutare Rousseau. Rousseau vive una vera difficoltà, tra Francia, Svizzera e territori del re di Prussia: aggredito anche fisicamente, cerca riparo. Hume glielo offre generosamente in Inghilterra, insieme a un aiuto molto concreto, nonostante la ben chiara distanza intellettuale che li separa.
E cosa riceve in cambio? A causa di una circostanza assolutamente futile (una burla ai danni di Rousseau alla quale Hume è totalmente estraneo), Rousseau reagisce in modo inqualificabile, con una lettera in cui parla di una “cricca”, di un “impostore”, e altre simili farneticazioni. Per sovrammercato, il 10 luglio del 1766, anziché chiarire e scusarsi, invia a Hume una lettera contorta e aggrovigliata, che segnala – annota Infantino – solo “acrobazie cerebrali e squilibrio emotivo”.
La rottura è definitiva. Hume, immaginando che Rousseau renda pubblica una versione distorta dei fatti, scrive un suo “resoconto”: ed è questo ciò che il professor Infantino ci fa conoscere. Mettendo in allegato lettere e considerazioni di Voltaire e D’Alembert. E soprattutto regalandoci una sua prefazione che va conservata e riletta.
Ovviamente Infantino coglie solo come pretesto l’episodio della polemica fra i due: testimonianza della legge eterna per cui gli atti di disinteressata generosità sono spesso ripagati con la moneta dell’astio, del rancore, della miseria umana.
L’occasione è invece più che mai propizia per demistificare il mito di Rousseau e per un’analisi parallela del liberalismo di Hume e della visione neototalitaria di Rousseau. Scrive Infantino: “Sullo stato di natura, sul contratto originario, sulla proprietà privata, sul denaro, i commerci, le arti, la città, il lusso e ogni altra questione, fra Hume e Rousseau c’era un’irriducibile contrapposizione”. Sta qui il punto, a cui Infantino arriva con precisione chirurgica: Hume era “un ‘esploratore’ che intendeva estendere il più possibile il territorio della libertà individuale di scelta, mentre l’altro intendeva esattamente cancellare quel territorio”.
L’antinomia è totale, assoluta: da un lato, c’è al centro la volontà del singolo; dall’altro, con Rousseau, la ricerca della ‘volontà generale’ come modo per comprimere e annullare la dimensione individuale. E Infantino è implacabile nel mettere a nudo questa realtà: l’ammirazione di Rousseau per il collettivismo spartano, la sua pretesa di ‘espungere il male’, di imporre il bene, contrapposta alla consapevolezza di Hume dell’impossibilità di aver a che fare con esseri perfetti, e quindi della necessità di limitare il potere e di impedire agli uni di far danno agli altri.
La prefazione di Infantino e l’intero volume sono dunque un oggetto prezioso. A maggior ragione nella triste Italia del 2017, in cui il grillismo sceglie proprio Rousseau non solo come nome del proprio “ingranaggio telematico”, ma – a ben vedere – come ispirazione e riferimento di fondo. Leggendo Infantino, si capiscono bene i motivi per cui costoro abbiano potuto fare quella scelta, dal loro punto di vista assai appropriata: e si capiscono ancora meglio i motivi per cui i liberali debbano starsene alla larga.
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