Da Il Corriere della Sera del 23 aprile
La realtà non è mai come appare e dietro ogni autorità ufficiale se ne cela un’altra segreta, enormemente più potente e che agisce nell’ombra. Dunque ogni avvenimento rilevante – che si tratti di una crisi economica, della caduta di un governo, di un conflitto militare o di un atto di terrorismo – ha cause e responsabili ben diversi da quelli indicati dai media «ufficiali». Sono questi, probabilmente, i punti essenziali della sindrome cospirazionista che ha acquisito enorme diffusione nel mondo contemporaneo ed è continuamente alimentata dal Web. Nel nostro Paese è addirittura la seconda forza politica, il Movimento 5 Stelle, a dare cittadinanza alle più incredibili tesi cospirazioniste: da quella che sostiene come le scie degli aerei ad alta quota indichino il rilascio nell’atmosfera di sostanze nocive, volte ad avvelenarci, all’altra che denuncia il tentativo (americano, naturalmente) di controllare la popolazione inserendo dei microchip nel corpo delle persone. Ma il complottismo non è qualcosa di specificamente italiano, come conferma una raccolta di saggi curata da Alessandro Campi e Leonardo Varasano, Congiure e complotti. Da Machiavelli a Beppe Grillo (Rubbettino).
Tra i contributi al volume va segnalato in particolare quello di Richard Hofstadter su Lo stile paranoico nella politica americana, un piccolo classico in materia per la prima volta tradotto in italiano. Hofstadter mostra appunto che, dalla fine del Settecento in poi, non vi è stato periodo in cui non si sia diffusa l’idea di un complotto teso a corrompere i costumi della società americana e addirittura a controllare il governo degli Stati Uniti. La struttura della cospirazione denunciata dai complottisti Beatriz Olabarrieta (Bilbao, 1979), Shifty-Show (2014, installazione mixed media), Londra, Cell Project Space restava sostanzialmente immutata, mentre a cambiare erano di volta in volta i presunti artefici: la setta bavarese degli Illuminati, i massoni, i cattolici, poi nel Novecento i comunisti, accusati dalla destra americana di essersi infiltrati fino ai vertici dell’amministrazione. Come è noto, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, l’assassinio del presidente Kennedy avrebbe fornito l’occasione per le più varie teorie del complotto. Nel nuovo secolo, l’attentato dell’11 settembre ha enormemente alimentato la sindrome cospirazionista: scrive nel suo saggio Valter Coralluzzo che sono oltre 1.300 i libri in inglese dedicati alla (presunta) cospirazione delle Torri gemelle, per molti dei quali l’attentato sarebbe stato organizzato dalla Cia o dagli israeliani (o magari dai servizi segreti americani e israeliani assieme).
Una diffusione che si sarebbe tentati di definire senza precedenti, se non fosse per la straordinaria circolazione avuta negli ultimi 150 anni dalla più famosa (e famigerata) delle teorie del complotto: quella su una cospirazione ebraica volta alla conquista del mondo, che fu utilizzata da Hitler per giustificare lo sterminio degli ebrei e, purtroppo, circola ancora ampiamente nei Paesi del Medio Oriente.
Chi è affetto dalla sindrome cospirazionista non riesce ad accettare l’idea che la storia è il regno dell’imprevedibile e dell’ignoto: cosa sarebbe accaduto se il 28 giugno 1914, a Sarajevo, il giovane Gavrilo Princip avesse sbagliato la mira? Anche quando decidiamo consapevolmente di fare qualcosa, non possiamo controllare – lo notava Karl Popper – le conseguenze della scelta. Ma è assai più rassicurante credere che ogni avvenimento rilevante abbia precisi responsabili che tramano nell’ombra e che tutto, una volta che questi siano stati smascherati, diventerà semplice e chiaro.
Alcuni autori del libro mettono appunto in relazione il successo delle teorie cospirazioniste con la capacità che esse hanno di fornire una spiegazione semplice ad avvenimenti complessi, individuando singole persone riunite in una qualche Spectre come responsabili, laddove la realtà ci consegna piuttosto una rete, spesso inestricabile, di cause e di protagonisti. Ma per un negoziante francese di fine Ottocento (un’epoca e un Paese che videro un grande sviluppo dell’antisemitismo) non era facile accettare di trovarsi ridotto sul lastrico a causa di meccanismi generali e impersonali come quelli che regolano i mercati internazionali. Molto più semplice prendersela invece con la «finanza ebraica», con responsabili in carne e ossa come i Rothschild.
«Quando la società soffre – osservò Emile Durkheim – sente il bisogno di trovare qualcuno a cui attribuire il suo male, qualcuno su cui vendicarsi delle sue delusioni». Le teorie del complotto, in sostanza, rappresentano uno strumento cognitivo che, in un mondo complesso e dominato da forze impersonali, soddisfa la diffusa domanda di spiegazioni semplici e di responsabili chiaramente individuati, una volta che se ne siano smascherate le oscure trame.
di Giovanni Belardelli
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