In un luogo sperduto sopra Leontica, nasce un romanzo che sta avendo un successo internazionale. A tu per tu con Fabio Andina, autore avvolto da un’aurea di mistero.
L’acqua del Gurundin è gelida, rigenerante, scivola giù dalla cascata con potenza, perché ha piovuto fino a poche ore prima. Una pozza dispersa in mezzo ai boschi bleniesi sopra Leontica diventa una star internazionale. È quella in cui faceva il bagno il Felice, personaggio mistico protagonista dell’omonimo romanzo, “La pozza del Felice” scritto dal 48enne malcantonese Fabio Andina.
Dopo avere spopolato in lingua italiana, il libro è stato tradotto in tedesco. Nella primavera del 2021 sarà disponibile in francese. «Tutto è partito da qui, da questa pozza. Dove il Felice veniva a fare il bagno. E io spesso faccio altrettanto, anche in inverno».
Premi di prestigio
A dicembre 2018 il libro di Andina, che già aveva all’attivo un altro romanzo, fa capolino nelle librerie. A pubblicarlo è la casa editrice calabrese Rubbettino. Seguiranno riconoscimenti prestigiosi come il Premio Terra Nova per la Fondazione Svizzera Schiller, e il Premio Gambrinus “Giuseppe Mazzotti” per la sezione montagne, già vinto in passato da Louis Sepulveda e Tiziano Terzani. «E pensare che io fino all’età di 22 anni non avevo né letto né scritto nulla – ammette Andina –. Poi sono andato negli Stati Uniti, a San Diego, a imparare l’inglese. Lì mi sono innamorato del cinema, laureandomi qualche anno più tardi a San Francisco, con enfasi nella scrittura di sceneggiature. In quel periodo ho conosciuto la Beat Generation, movimento letterario caratterizzato da uno stile di scrittura a getto, spontaneo. È allora che ho scoperto davvero il piacere della lettura. Oggi leggo tantissimo. Ma la maggior parte dei libri che prendo in mano li interrompo dopo dieci pagine. Se non mi prendono, non vado avanti».
Fabio Andina si racconta seduto sulle rocce che circondano la pozza. Per raggiungere questo luogo, che sembra sospeso nel tempo, abbiamo affrontato una salita piuttosto impegnativa, tra i boschi. «A Leontica ci vengo sin da bambino, nella baita di famiglia. Qui ho concepito il mio libro, all’ombra di un poster di Fabrizio De André».
Tipo misterioso, questo Andina. Gli poniamo mille domande. Ma lui le seleziona con quel suo sguardo da attento osservatore. Simile a quello che caratterizzava il protagonista del suo libro. «Io e il Felice facevamo lunghe camminate insieme, era capace di starsene anche due ore senza proferire parola. Ma in fondo che bisogno c’è di parlare sempre? Il silenzio a volte vale più di mille discorsi. Tra l’altro amo rifugiarmi a Leontica proprio per questo. Per la pace che regna. Nella mia baita non c’è la televisione, non c’è nemmeno il wi-fi. Passo molto tempo accanto al caminetto, al massimo ascolto la radio».
Montagna e solitudine
Di recente il 48enne malcantonese è stato recensito dalla Neue Zürcher Zeitung. Un elogio al suo romanzo che sta facendo furori anche in lingua tedesca, non solo in Svizzera, ma anche in Germania e in Austria. «La Rotpunktverlag di Zurigo ha creduto in me, e la traduttrice Karin Dimerling è stata bravissima, ha dovuto trovare il modo di tradurre i miei ticinesismi. Si è gia alla terza ristampa. Prossimamente le Editions Zoé di Ginevra si occuperanno della versione francofona. A tradurre il testo sarà Anita Rochedy, traduttrice in francese di tutte le opere di Paolo Cognetti, uno dei grandi della letteratura italiana contemporanea. Ma non è l’unico progetto in cantiere: in autunno uscirà una nuova pubblicazione, edita da Rubbettino».
Con quel suo tono pacato, Andina volge lo sguardo verso l’Adula, verso il Simano. E poi si gira verso il Sosto. Montagne che sono citate nel suo romanzo. «Tra le montagne io ritrovo me stesso, capita che faccia anche 30 chilometri a corsa, su e giù per i sentieri. La solitudine non mi fa paura, è un valore».
Torniamo verso la baita nel nucleo di Leontica. All’entrata lo scrittore ci indica i nidi di diversi balestrucci. «Sono uccelli migratori della famiglia delle rondini, mi tengono compagnia. Mi ritengo una persona a cui basta poco per essere contenta. Col tempo sono diventato sempre più minimalista. È una filosofia di vita che mi ha trasmesso lo stesso Felice. È morto ormai da cinque anni. Quando ci frequentavamo ancora non sapevo che la sua esistenza si sarebbe trasformata in un romanzo. E probabilmente, se ci fosse ancora, il Felice non festeggerebbe neanche più di tanto. Anzi. Continuerebbe le sue giornate, contraddistinte dall’amore per le piccole cose».
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