Da Il Quotidiano del Sud del 14 febbraio
“L’arte della seta a Catanzaro tra il Mezzogiorno e l’Europa nel Sei e Settecento” (Rubbettino Editore, pp. 320 – Euro 19) di Amedeo Toraldo si propone di studiare la storia della sericoltura nel capoluogo calabrese secondo direttrici di ricerca poco esplorate: la vita della corporazione e l’analisi economica. L’originalità dell’indagine è legata al rinvenimento di fonti documentarie di estremo interesse, tra le quali lo Statuto dell’Arte della seta del 1718 – edito nel volume – e la documentazione sulle esportazioni di tessuti serici fuori della Calabria nel ‘600. Per la prima volta vengono offerti dati quantitativi e seriali sulla commercializzazione e la produzione dei «drappi di Catanzaro», che fanno vedere come la sericoltura abbia offerto un importante contributo all’economia del Regno di Napoli, specie fra Sei e Settecento.
Con la geografia dei mercati, infra ed extra Regnum, la ricerca restituisce un’inaspettata “galleria” di illustri consumatori, segno della posizione di rilievo occupata da Catanzaro nella rete manifatturiera della Penisola. Nuove conoscenze riguardano forme di produzione, tecnologia, “campionario” dei drappi, mondo del lavoro, dal quale emergono, nominativamente, filatori, tintori, tessitori ma anche la folla “anonima” di altri lavoratori della seta, testimoni di una cultura di lavoro che è stata, lungo diversi secoli, motivo di forte identità della città di Catanzaro.
Il volume verrà presentato giorno 2 marzo alle 17,30 presso la Sala Giunta della Camera di Commercio di Catanzaro. Ne discuterà con l’autore il prof. Guido Pescosolido dell’Università “La Sapienza” di Roma. Modererà il dibattito la giornalista Rosalba Paletta.
Il meridione e l’economia da seta
Da Il Quotidiano del Sud del 14 febbraio
Per avere una possibile conferma della centralità della seta nel “discorso” economico intorno al Meridione italiano si potrebbe anche muovere da un sentiero laterale rispetto all’analitica indagine – L’arte della seta a Catanzaro tra il Mezzogiorno e l’Europa nel Sei e Settecento, Rubbettino Editore, 2015, € 19,00 – dedicata da Amedeo Toraldo all’industria serica, con le sue inscindibili propaggini dell’organizzazione produttiva e dei sistemi di produzione, prendendo l’abbrivio, per così dire post-factum, dalla fine di quel XVIII secolo opportunamente periodizzante nella ricerca di Toraldo. Non per caso Domenico Grimaldi, nella sua Relazione umiliata al Re di un disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria […], data alle stampe a Napoli il 6 agosto del 1785, proprio nella seta riteneva si potesse trovare, accanto ad altre soluzioni, una risposta alla desolazione che in Calabria aveva prodotto il terribile macro-sisma del febbraio-marzo di due anni prima. Osservava, Grimaldi, l’ampia lega di territorio di proprietà della Certosa di S. Stefano del Bosco, suggerendo una sistematica “irrigazione pratense” per la miglioria delle colture e pensando all’industria della seta, «al presente affatto ignota nella Lega», come possibile volano di sviluppo: «I gelsi per ragione del terreno e del clima vi allignerebbero a meraviglia, se vi si piantassero. Io in tutto quel territorio trovai piantato un solo gelso in un giardino dietro la diruta Certosa, ed è di sì gran mole, e produce una foglia così bella, che io vidi pochi di simili alberi in tutta la Calabria da potersi paragonare con quello. Una tale osservazione mi suggerì d’indurre Monsignor Arturi ad obbligarsi nella citata offerta di piantare di gelsi a proprie spese tutto il ricinto delli nuovi prati irrigatorj, bastando tal prima piantagione per invogliare i naturali della Serra, e di Torre di Spatola di generalmente imitarla». Ma, in realtà, l’eccessiva fiscalità che pesava sulle produzioni seriche costituiva un notevole ostacolo, se, nello stesso torno di anni, si segnalava la delusione per il sostanziale fallimento in cui era incorsa persino la Giunta del disgravio del dazio della seta, come scriveva il marchese Palmieri nelle Osservazioni su varj articoli riguardanti la pubblica economia (1790): «La seta, dopo aver ondeggiato tra le speranze ora lontane ed ora prossime di essere sciolta da’ legami ed alleggerita de’ pesi, come era la volontà dichiarata del sovrano, e come dovea stabilir una giunta stabilita a questo oggetto, è rimasta nello stato primiero». Forniva, peraltro, un chiaro riscontro alla valutazione del Palmieri anche la Memoria sulla seta che il proprietario reggino Salvatore Pontari aveva indirizzato a Giuseppe Maria Galanti e nella quale sottolineava le “vessazioni sopra vessazioni” e i “dazj sopra dazj” di cui il pregiato tessuto era “schiavo”, denunciando, con particolare vigore, lo stato precario in cui si trovava tale industria a Reggio: «Ond’è evidente la decadenza e forse la intera abolizione di questo genere perché, oltre delle vessazioni, li proprietarj sono in evidente discapito facendo il calcolo delle spese e del prodotto che richiede l’industria della seta; perciò non solamente non si fanno nuove piante di Gelsi, ma si coltivano con nausea e rincrescimento quelli che esistono, e si occupa quel terreno dove sono piantate, di vigne e di piante di altra specie […]». E proprio Giuseppe Maria Galanti alle manifatture catanzaresi della seta dedicava un ampio inserto del Giornale di viaggio del 1792 e indicava nell’arrendamento la “causa vera e principale” della sua cattiva trattura: «Gli industrianti delle sete sono nella necessità di tirar le sete in fretta e male, senza poter cambiarci l’acqua, ecc., per cui la seta viene di cattivo colore. Ciò si fa per eludere i sostituti dell’arrendamento con far comparire minor quantità di seta di quello [che] lo è in realtà». E dire che, tra fabbriche che avevano “riputazione” e quelle che non l’avevano, tale e talmente varia era la produzione di tessuti a Catanzaro, come conferma anche il lavoro di Toraldo, da poterci ricavare preziose indicazioni persino per la storia del costume: «Damaschi, rasi, amoerri, nobiltà, armesino, taffetà, velluti, fazzoletti e calzette. Di damaschi si lavorano seta e seta, seta e stracci di seta, seta e calmo e seta e bambacia. […] I rasi si lavorano di seta e seta, seta e calmo, ecc. come i damaschi. […] Si fanno o semplici o a righi di varj colori. Questi rasi sono difettosi per la qualità della seta e per difetto di arte nel prepararli, mancando gli ordegni e le cognizioni necessarie – Degli amoerri si lavorano lisci e lavorati di ogni sorte. […] Di taffetà e tablietti ci sono circa 12 telai. Questi rami di manifatture sono di loro natura imperfetti. – I velluti si lavorano a un pelo, a un pelo e mezzo e due peli. […] Si fanno anche ricci, a righe tagliate e ricci, e lisci. È da notarsi che i righi sono a traverso, non sapendosi fare righi a lungo». Damaschi tenuti in gran conto, quelli catanzaresi, la cui lavorazione, «non incoraggiata dai Borboni, fu quasi annichilita dalla moda di tappezzare le stanze con il semplice raso» (U. Caldora, Calabria napoleonica) e conobbe una medesima storia di declino – è ancora Caldora a rilevarlo – delle altre consimili manifatture calabresi sorte a Villa San Giovanni, Monteleone, Paola e Reggio. Una decadenza alla quale non fu estraneo, insieme con «le traversíe dell’agricoltura e la ristretta area commerciale», il decennio francese di inizio Ottocento con «l’inconsiderato e generale taglio dei gelsi per l’esorbitante consumo di combustibile delle truppe».
di Tonino Ceravolo
Un universo economico
da Il Quotidiano del Sud del 14 febbraio
[…] La storiografia economica sulle specifiche vicende della gelsi-bachicoltura e della seta delle regioni settentrionali è stata abbastanza ricca, più che proporzionata alla dimensione del fenomeno. Meno ricca forse quella sulla Sicilia, anche se con lavori di grandissimo vigore interpretativo come quelli di Aymard e di notevole impegno ricostruttivo come quelli di Cancila e soprattutto di Laudani per il Settecento. Sulla seta calabrese, dopo il fondamentale contributo portato nel 1965 dal libro di Giuseppe Galasso sull’intera economia e società calabrese nel Cinquecento, che in realtà tracciava un canone interpretativo generale che giungeva a comprendere l’intero Settecento, non c’è stato un grandissimo seguito di lavori specifici. Di grande pregio gli apporti di Augusto Placanica e quelli di Giuseppe Caridi, ma all’interno di lavori impostati su più larghi e diversi inquadramenti complessivi di storia anche sociale, politica e culturale. Lavoro di rilevante importanza e interesse per la parte dedicata alla Calabria è quello sulla seta nel Regno di Napoli nel secolo XVIII di Daniela Ciccolella, ma molto resta ancora da fare a livello regionale, sub regionale e cittadino ai fini di una ricostruzione di dimensioni e natura dei processi produttivi, delle tecniche e dei macchinari, delle dimensioni, composizione, organizzazione e controllo della forza lavoro, del quadro giuridico istituzionale, degli orizzonti commerciali e delle relative variazioni nel tempo. E questo lavoro di Amedeo Toraldo cerca di rispondere concretamente a tali esigenze concentrando l’attenzione su una realtà di estremo interesse come quella di Catanzaro, dove, secondo Luigi Grimaldi, la lavorazione della seta era stata introdotta almeno nel IX secolo dai bizantini, collocata al centro nei grandi processi di trasformazione cinque, sei e settecenteschi che investirono il Sud, l’Italia e l’Europa, con un apparato produttivo e relativo contesto giuridico e sociale abbastanza peculiari nello stesso quadro calabrese.
Non per caso scrisse al riguardo Augusto Placanica: «A differenza di ogni altro analogo contesto, a Catanzaro la produzione della seta è sempre stata, nel concreto e nella memoria storica, non solo una base produttiva di grandissimo pregio, ma – appunto – un'”arte”, cioè un complesso di importantissime strutture economico-giuridiche che coinvolgevano e regolamentavano tutto un universo economico, sociale, culturale» (A. Placanica, Introduzione a Arte della seta a Catanzaro, in Idem, Scritti, a cura di M. Mafrici e S. Martelli, tomo I, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004, p. 226). Alla Catanzaro in età moderna Placanica dedicò più di uno scritto, tutti di grande intuizione interpretativa, ma in nessuno di essi fu sviluppata una ricostruzione veramente esaustiva di quella che egli stesso definiva la componente primaria della vita economica e sociale della città, ossia la produzione e lavorazione della seta. Amedeo Toraldo si è mosso invece proprio in questa specifica direzione cercando di reperire tutte le fonti inedite esistenti nell’Archivio di Stato di Napoli, nell’Archivio di Stato di Catanzaro, nella Biblioteca Nazionale di Napoli, nella Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria e di utilizzarle alla luce della letteratura sull’argomento esaminata nella sua interezza.
Il reperimento di importanti documenti inediti gli ha consentito di portare un contributo assolutamente originale alla ricostruzione dell’andamento economico del setificio catanzarese nel Sei e Settecento, offrendo per la prima volta dati quantitativi sulla produzione, una analisi della composizione della forza lavoro con la descrizione del tutto inedita del ruolo delle donne nei processi produttivi, una verifica abbastanza precisa dei livelli dello sviluppo tecnologico comparati su scala peninsulare, una ricostruzione attendibile della complessa geografia del commercio dei prodotti serici catanzaresi in Calabria, nel Regno e fuori del Regno, e dei soggetti che lo controllarono per tutto il Seicento, con una elencazione puntuale dei tipi di tessuti catanzaresi esportati. Ma il contributo più importante e originale del lavoro di Toraldo è forse quello portato alla conoscenza dell’articolazione istituzionale dell’Arte della seta di Catanzaro dal Cinquecento al Settecento, della sua capacità di controllo del sistema produttivo, delle differenze con l’organizzazione e il funzionamento istituzionale della corrispondente “Arte” di Napoli, delle relazioni con le corporazioni religiose, degli intenti mutualistici dell’Arte, dei ruoli e posizioni di forza delle maggiori categorie di operatori, in particolare di mercanti e artigiani.
La trascrizione e pubblicazione dell’inedito Statuto dell’Arte della seta di Catanzaro del 1718 e il suo confronto con gli statuti dei due secoli precedenti, portano un contributo scientifico di prim’ordine alla raccolta e valorizzazione delle fonti per la storia non solo del setificio, ma dell’intero apparato manifatturiero del Mezzogiorno in età moderna.
dalla Prefazione di Guido Pescosolido
Introduzione al volume di Amedeo Toraldo, L’arte della seta a Catanzaro tra il Mezzogiorno e l’Europa nel Sei e Settecento, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2015, pp. 21-23.
La ricerca sull’arte della seta a Catanzaro tra Sei e Settecento si pone l’obiettivo di studiare la manifattura serica sia sotto il profilo dell’organizzazione corporativa che economico.
Il progetto ha preso le mosse dal rinvenimento dello statuto dell’Arte della seta di Catanzaro del 1718 ed è proseguito con l’approfondimento dell’aspetto economico delle tessiture seriche tra XVII e XVIII secolo, in ragione dell’evidenza storiografica che, fino a oggi, mancano studi adeguati al riguardo, e non solo in riferimento al periodo considerato.
Queste carenze della storiografia non devono meravigliare più di tanto, poiché lo stato degli studi sul centro tessile di Catanzaro non è molto dissimile, sostanzialmente, da quello di altre manifatture seriche dell’Italia meridionale: non molto tempo fa, in occasione del convegno “La seta. E oltre…” svoltosi nell’ottobre del 2001 proprio in Calabria, Simona Laudani sottolineava che «[t]anto per la seta siciliana che per quella calabrese ci troviamo, infatti, in presenza di una produzione storiografica tutto sommato esile, che se da un canto presenta dei punti di eccellenza […] come nel caso dei lavori di Maurice Aymard per la prima, o di Giuseppe Galasso per la seconda, dall’altro richiede una nuova stagione di studi capace di rileggere le fonti […] in base alle nuove metodologie della ricerca» e «in funzione di un rinnovato rapporto col territorio» . Sebbene siano uscite nel frattempo buone monografie su specifiche tematiche o realtà territoriali – sempre in relazione al periodo qui preso in esame –, rimane ancora tanto da acquisire sull’attività serica nel Mezzogiorno da parte della storiografia.
Nel presente studio, oltre a rileggere le fonti conosciute – in verità, estremamente esigue per la realtà manifatturiera di Catanzaro –, si è cercato di individuarne “nuove”.
E così è stato relativamente alla corporazione della seta di Catanzaro, tramite il rinvenimento dello statuto del 1718 di cui non si conosceva l’esistenza, in merito alle transazioni commerciali di drappi, portando alla luce fonti omogenee fra loro che vanno dal secondo al nono decennio del ‘600 e successivamente elaborate, riguardo ai dati sul consumo di seta lavorata nel ‘600 e nel primo ‘700 ricavati da documentazione di ambito forense. Fonti reperite lontano dalla Calabria: presso l’Archivio di Stato di Napoli, la Biblioteca Nazionale di Napoli, la Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria, che hanno costituito la struttura portante dell’indagine. Altre fonti, pure determinanti ai fini della ricerca – relative al panorama delle botteghe commerciali cittadine, alle forme di produzione o ad aspetti di natura tecnologica – provengono dall’Archivio di Stato di Catanzaro.
Il lavoro ha richiesto – come è noto agli studiosi del settore – il confronto con saperi lontani dal tradizionale campo degli studi economici: la storia della tecnica, l’arte della tessitura tradizionale, con i quali abbiamo voluto in qualche modo “misurarci”, anche con l’ausilio di esperti oppure facendo diretta esperienza in laboratori di tessitura artigianale.
Ultime notazioni metodologiche riguardano l’accento posto dall’indagine sulla tessitura, un tema che, probabilmente a causa dell’indisponibilità di fonti, non ha trovato nella storiografia sulla seta dell’Italia meridionale lo spazio che meriterebbe, e la scelta di studiare le vicende della manifattura catanzarese in relazione ai contesti del Regno di Napoli e della penisola e di inserire i risultati della ricerca nel dibattito storiografico sul comparto serico del Mezzogiorno: il procedere degli studi, infatti, non sempre si è accompagnato al confronto con le acquisizioni storiografiche precedenti.
La ricerca si divide in due parti: la prima illustra l’evoluzione dell’organizzazione dell’Arte della seta di Catanzaro nel corso dell’età moderna, dai caratteri originari fino all’assetto settecentesco, sul quale, ora, fa luce la “nuova” fonte statutaria; la seconda tratta il complesso delle lavorazioni della seta in cui si articolavano le manifatture catanzaresi, il mondo del lavoro, il sistema di produzione e i mercati nella tessitura serica tra XVII e XVIII secolo.
di Amedeo Toraldo
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