Dalla Gazzetta del Sud del 21 febbraio
Ricordate la canzone “Lu pisci spada”? Modugno la scrisse (parole e musica) e lanciò nel 1954. Gliel’aveva ispirata – rivelò poi – una storia d’amore letta da qualche parte e che l’aveva particolarmente colpito. A inventare quella storia che ha molto di verosimile e che fece il giro del mondo – ci ricordano Arcangelo Badolati e Santino Salerno in loro libri – era stato il giornalista calabrese Domenico Zappone. Ad avviso di Zappone, c’è un posto considerato il luogo ideale per questo pesce: il tratto di mare che va da Scilla a Pietrenere di Palmi. Asserzione in stretta armonia con quanto scriveva Leonida Repaci secondo il quale, nel dotare di ineguagliabili meraviglie la nostra regione, il Creatore assegnò allo Stretto proprio il pesce spada… A ragione Ottavio Cavalcanti, già ordinario di Storia delle Tradizioni popolari all’Unical, riporta il testo di Zappone nel suo più recente volume con il quale traccia la “storia” di due pesci particolarmente apprezzati a livello internazionale e che proliferano dalle nostre parti, aggiungendo un dovizioso corredo di ricette (circa 300) che esaltano il gusto, il sapore e le proprietà della loro… “carne”. Ossa di pesce spada, tra l’altro – riferisce Cavalcanti – sono stati rintracciati tra i resti di un villaggio databile al XVII-XV secolo a.C. nel centro abitato di Messina; un pesce spada figura in un bassorilievo rinvenuto nel tempio di Deir el Bahari nella Valle dei Re (1491 a.C. circa), e un esemplare dello stesso animale si nota in un affresco rinvenuto ad Haghia Triada nell’Isola di Creta. Grande è, dunque, la considerazione in cui il pescespada è tenuto sin dall’antichità. Ed è fuori discussione lo stretto legame dell’avvincente caccia con fiocina e arpioni – tuttora praticata, e sulla quale si sono soffermati tanti letterati, pittori, cineasti, fotografi… – coi metodi di cattura adoperati un tempo lontano. In più, il pescespada del nostro Tirreno esce vincente nel confronto con quello reperibile altrove nel Mediterraneo, nel Mar Nero, nel Mare di Marmara, nel Mare d’Azov, nelle aree tropicali, subtropicali e temperate di tutti gli oceani. Il secondo pesce su cui si sofferma Cavalcanti è il tonno (come evidenzia il titolo del suo volume, “Tonno e Pescespada”, edito da Rubbettino, pag. 208, euro 9,90). Anch’esso è molto diffuso: lo si trova nel Pacifico, nell’Atlantico e nell’Oceano Indiano. La sua cattura (le celeberrime “mattanze”), la sua lavorazione e il suo consumo sono stati fondamentali nell’economia del Mediterraneo in genere e in particolare dell’Italia meridionale e della Sicilia, che qualche secolo fa vantavano numerose, grandi tonnare. Non a caso nel Vibonese (Pizzo, Maierato e dintorni) tuttora sono attive diverse moderne industrie specifiche. Anche il tonno vanta un passato di particolare riguardo, come dimostra la presenza della sua figura per esempio sulle monete di Salunto, di età ellenistico- romana; dell’antica Lampedusa; di Abdera, città della Tracia. Fra i suoi cantori più remoti c’è Archestrato di Gela (IV sec. a.C.) che riconosceva già allora, tra l’altro, l’eccellenza del pescato di Ipponio (l’odierna Vibo Valentia). Un’eccellenza che viene riscontrata ancora oggi nel pescato del Tirreno calabrese e che stimola molti piccoli imprenditori e tante famiglie della costa a lavorare privatamente e conservare il tonno, rispettato come il “maiale marino”, poiché di esso in fondo “non si butta niente”, esattamente come accade per “sua maestà” il suino, re incontrastato delle nostre tavole.
di Antonio Garro
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di Antonio Garro