Un libro drammatico che proprio in questo momento storico andrebbe letto. Magari, avrebbe anche il potere di zittire alcuni sterili commenti intorno all’attuale guerra.
Tiro al piccione è figlio di un travagliato parto artistico ed editoriale. Pavese lo aveva scelto immediatamente, ma di lì a poco lo scrittore piemontese morì. Nel 1953 fu Elio Vittorini a pubblicarlo sotto il marchio Mondadori, ma dopo una breve e fortunata stagione di questo romanzo non si parlò più, tanto meno del suo autore.
Rimanelli è nato nel 1925 in Molise. È morto negli Stati Uniti d’America nel 2018 e lì ha trovato accoglienza e fortuna. L’Italia ha riposto questo scrittore nel dimenticatoio. La sua colpa? Forse quello di aver scritto del sangue dei vinti, di quei repubblichini che si trovarono, come i partigiani e gli antifascisti, nel mezzo di una guerra civile che non aveva precedenti.
Non è semplice parlare di quel periodo storico, perché ancora oggi troppe ombre aleggiano sugli eventi. Gli uomini condannano e assolvono velocemente, la Storia è invece un intreccio di attimi da studiare pazientemente. In questo quadro, il romanzo di Rimanelli è un inno alla libertà. Marco, il protagonista, nonché alter ego dell’autore, si trova al centro della mischia senza sapere come. Vestito della divisa da repubblichino non sa per chi combatte, per cosa e contro chi. Tutto è un errore e un equivoco, ma a pagarne le conseguenze è solo lui.
Ciò che vede con i suoi occhi è ciò che la guerra è, ossia uno schifo, una serie di atti di violenza in cui non esiste verità, ragione sufficiente, giustificazione, vittima o carnefice. La guerra mette l’uno contro l’altro. È opera dell’uomo. Forse è la sua opera più imperfetta e inutile, eppure esiste e in qualche modo bisogna sopravvivere ad essa.
Come si potrà leggere nei contributi che aprono e chiudono il libro, Rimanelli non scrisse un’autobiografia, ma ha voluto lasciare traccia della sua esperienza. Lo stile è ancora acerbo, ma è anche autentico, tanto da rendere Tiro al piccione un libro fuori dal comune per i canoni dell’epoca. Indubbiamente, già Pavese aveva capito che in questo romanzo non c’era nessun intento politico. Anzi, voleva pubblicarlo perché era il punto di vista di una persona che è stata dall’altra parte. Peccato che tale annotazione non sia servita a far apprezzare in patria Rimanelli.
Cos’è quindi Tiro al piccione? È uno dei romanzi più importanti e volutamente sottovalutati del dopoguerra nostrano, scritto da un autore che l’establishment culturale italiano ha esiliato e che ancora oggi fa fatica a reintegrare. Un plauso quindi alla casa editrice calabrese Rubbettino per questa operazione culturale.