Da Linkiesta.it
Con “Terra inquieta. Per un’antropologia dell’erranza” edito da Rubbettino, Vito Teti attribuisce alla Calabria un aggettivo veritiero, efficace e suggestivo per riassumere ed esaltare un tormento arcaico di una terra senza pace, inafferrabile, fascinosa, lontana, ambigua, vaga, selvaggia e leggendaria. L’antropologo illustra una perenne mobilità della gente che la popola ricorrendo ad un abilissimo gioco di linee immaginarie che in un moto ondulato intersecano tra loro passato, presente e futuro. Il racconto così come la storia stessa della Calabria si ricongiunge in un cerchio che si spiega in una miriade di riti, abitudini, tradizioni del popolo calabrese.
Il saggio preziosissimo propone l’autenticità dei luoghi presentando le diversità e i contrasti della Calabria, “punta estrema dell’Italia, metafora del Mezzogiorno e della questione meridionale” offrendo così una lettura che appare essa stessa un viaggio pregno di sussulti, fughe, melanconie. Ogni pagina è una scoperta accurata e sorprendente, un modo questo di fare memoria ma anche di denunciare le mancanze, le distrazioni, le superficialità che hanno permesso scellerate devastazioni come alcune catastrofi indotte dall’uomo aggravate da quelle naturali.
In un sapiente alternarsi di testi e foto, strumento quest’ultimo prediletto da Vito Teti che definisce la fotografia come un altro occhio per guardare nonché strumento indispensabile d’osservazione, il libro nella sua interezza si presenta come un reportage fondamentale per comprendere andate e ritorni delle comunità che hanno vissuto l’emigrazione con dolore come fosse una sorta di morte. Una separazione che induce a provare anche un sentimento di speranza in grado di attuare una rinascita da compiere altrove. L’emigrato condannato a sentirsi costantemente straniero come fosse in sospeso tra la terra natia e quella che l’accoglie, compie un viaggio nel quale mito e storia coincidono.
Presentare la popolazione calabrese come gente errante che supera frontiere e lascia tracce del suo passaggio, è un modo per riaffermare le teorie già introdotte da Corrado Alvaro nel 1958 che soffermandosi sulla necessità della gente di fuggire giunge a una lungimirante constatazione: “Fisicamente o fantasticamente, la Calabria è oggi in fuga da se stessa”. Tuttavia sebbene l’emigrazione sia erosione della società, essa contiene comunque elementi di continuità, gli stessi che consentono la chiusura di quel cerchio immaginario indispensabile per comprendere una regione annoverata da Vito Teti come “la grande dimenticata, la grande silenziosa, la ripetutamente scoperta”.
di Paola Bisconti
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