[Sviluppo locale e Comunità] La forma della città del futuro (agcult.it)

di Giancarlo Sciascia, del 31 Marzo 2020

Maurizio Carta

Futuro

Politiche per un diverso presente

“Ciò che è grave è che tutte queste immagini diventano alla lunga della pubblicità e della propaganda per il sistema… Tutte le immagini che ci inviano si livellano in un’emissione comune… Nessuna immagine lascia riposare… Tutte vogliono qualcosa da noi.” Così Rudiger Vogler, recitava in Alice nelle città, nei panni di Felix Winter. Il film di  Wim Wenders è il primo capitolo della trilogia della strada, gli altri due sono Falso movimento e Nel corso del tempo. Nei tre film il viaggio è visto come movimento nello spazio, nel tempo, nell’animo, cambiamento, ricerca d’identità. Con questo stesso sguardo, che non è contemplativo, ma di ascolto attento e al contempo di poetica immaginazione, si può leggere oggi il libro “Futuro” di Maurizio Carta, studioso con una importante esperienza da amministratore pubblico.

Il testo, ricchissimo di riferimenti dal cinema alla letteratura, è strutturato in sezioni per presentare e commentare casi di studio che hanno visto spesso Carta come protagonista, sia come docente universitario che come assessore per il Comune di Palermo. Al centro della riflessione c’è una visione della rigenerazione urbana intesa come fiorire di relazioni e iniziative all’interno di comunità resilienti.

L’esperienza della Farm Cultural Park di Favara, a pochi minuti di distanza dalla Valle dei Templi, rappresenta una delle maggiori fonti di ispirazione, accompagnata da una serie di realtà locali in tutto il Mezzogiorno che vengono definite comunità creative ossia “la sintesi delle relazioni tra i luoghi dell’abitare (lo spazio della vita delle persone), l’ambiente (i sistemi naturali) e la società (le relazioni e le attività umane) e che agiscono prevalentemente sulla dimensione creativa e innovativa dello sviluppo, cercando nuovi modi per tornare a essere generative di idee, ma soprattutto di azioni concrete che convincano le persone a restare nei luoghi e altre ad arrivare, soprattutto i giovani.”

AREE INTERNE COME LABORATORI DI INNOVAZIONE

Secondo Carta sono le aree interne la piattaforma abilitante dell’innovazione locale: “serve un vero e proprio re-boot delle città medio-piccole e dei territori interni generato dall’azione congiunta del ridisegno dei tessuti urbani, della localizzazione delle nuove manifatture micro e nano, della capacità innovativa delle start up fondate sulle eccellenze locali”. Soprattutto la dimensione territoriale della sostenibilità richiama gli urbanisti all’esercizio della creatività per progettare nuovi territori: da quelli materiali dello sviluppo locale, a quelli reticolari degli arcipelaghi territoriali a quelli virtuali delle augmented cities in cui numerose intelligenze collettive, sempre più pluriculturali e multietniche, interagiscono producendo nuova comunità.

In altri termini, il territorio interno oggi è una sorta di scarto rispetto alle città maggiormente competitive e integrate nella nuova geografia del lavoro, sotto l’egemonia dell’innovazione tecnologica. Lo scollamento si materializza in forme di diseguaglianze di riconoscimento alla base della sfiducia che ha spiegato i risultati elettorali che hanno sancito il destino della Brexit nonché l’attuale quadro politico italiano caratterizzato da instabilità e “delirio di impotenza”.

Come possono le nostre città, piccole o grandi, darsi un nuovo orizzonte di senso? Detroit è il prototipo della città che crolla e si rialza. Fino a ieri subiva gli effetti di una recessione economica che ne ha decretato la bancarotta nel 2013, contando circa 1,1 milioni di persone in meno rispetto alla fine del 1940. Una lenta agonia che sembrava non arrestarsi, fino a quando la stessa comunità non comprende lo straordinario valore creativo del riciclo di quella straordinaria qualità di patrimonio urbano in disuso o in abbandono, capace di rinascere dopo la sua obsolescenza per trasformarsi in boschi, frutteti, fattorie urbane, stagni e laghi artificiali, ridisegnando completamente la fisionomia della città, senza costringere gli ultimi residenti a spostarsi, ma riattivando i meccanismi di localizzazione.

Le città del neo-antropocene ci impongono di ripensare, progettare e governare la transizione, programmando la loro evoluzione, riciclando le risorse in disuso e pianificando il loro riuso dopo l’obsolescenza.

Il FUTURDESIGN URBANO

Il futuredesign delle città del diverso presente per il futuro che vogliamo, soprattutto delle città mediterranee, secondo Carta dovrà agire entro un nuovo urbanesimo che operi, non più come un set lineare di istruzioni fondiarie alimentate dal consumo di suolo e dalla rendita, ma come un sistema vivente, che evolva con le persone, che si sviluppi circolarmente, non producendo rifiuti, che si reinventi e si rinvigorisca attraverso la metamorfosi. “Richiede un urbanesimo capace di essere nuova guida sapiente dei processi insediativi attraverso l’integrazione con la sostenibilità ecologica, con la gestione dell’uso dei suoli, con l’efficienza energetica, con la progettazione di nuove forme dell’abitare, senza sottrarsi dalla produzione di valore, ma anzi accettando la sfida di tornare a produrre «valori», materiali e immateriali”.

Le città contemporanee sono organismi vibranti di luoghi e comunità, di dati e informazioni, di sensori e attuatori, di azioni e reazioni generati sia dalle persone che dall’ambiente. Le città devono essere più reattive ai nostri cambiamenti comportamentali, fungendo da dispositivi abilitanti per migliorare la nostra vita contemporanea. Una città più intelligente non sarà quella che aggiunge tecnologia ed efficienza al suo organismo tradizionale, ma dovrà essere una città che innova profondamente le sue dinamiche di sviluppo, che rivede il suo modello insediativo e che ripensa il suo metabolismo, che rinnovi il patto sociale con i suoi cittadini, fondato sul binomio spazio-società.

È una città che genera cittadini intelligenti e attivi investendo nel capitale umano e sociale, nei processi di partecipazione, nell’istruzione, nella cultura, nelle infrastrutture per le nuove comunicazioni. Una città che innova il software (il modo di abitare, produrre, muoversi) e non solo l’hardware, che rielabora un modello di sviluppo sostenibile, garantendo un’alta qualità di vita per tutti i cittadini e prevedendo una gestione responsabile delle risorse attraverso una nuova politica, più aperta e condivisa.

Carta definisce queste città “Augmented Cities” perché incrementano la qualità della vita degli abitanti usando la tecnologia, l’innovazione e la creatività come mezzo e mai come fine. Città che siano dispositivi abilitanti per le comunità che vogliano vivere pienamente la transizione, luoghi per la crescita delle persone e per la realizzazione delle loro aspirazioni, oltre che per la risposta ai loro bisogni e diritti. 

Indica inoltre una condizione per la manutenzione democratica: una politica aumentata nell’era della condivisione deve aiutare i cittadini a diventare «meccanici civici» che riparino i guasti delle comunità oltre che segnalarli, che si prendano cura dei luoghi oltre che abitarli, che attivino spazi, che tessano relazioni, che temperino le diseguaglianze. Ciò significa co-generare soluzioni, per rimettersi al servizio della comunità.

L’urbanista siciliano lancia un appello per una profonda innovazione dei protocolli e soprattutto degli strumenti dell’urbanistica – il futuredesign appunto – perché sappiano intercettare i mutamenti e guidare il futuro: per un’Italia più sicura e più bella serve un ‘New Deal della qualità e sicurezza del territorio’, un grande piano di manutenzione, prevenzione e sostituzione, un necessario intervento di sistema che coinvolga lo Stato e gli enti locali, i migliori professionisti, le università e, soprattutto, i giovani laureati che troverebbero, così, grandi opportunità per mettere a frutto le loro competenze e passioni. 

In questa cornice i rigeneratori urbani “creati per occuparsi solo dei margini del profitto”, devono diventare gli epicentri di una nuova catena del valore, prendendosi la responsabilità politica anche di cambiare quelle leggi antiche figlie di un mondo diverso e ineguale. La nuova sfida politica della rigenerazione urbana basata sulla cultura e la creatività impone, quindi, una nuova alleanza tra patrimonio e creatività, tra eredità e innovazione, tra cultura ed economia. La nuova sfida della creatività diventa quella di essere fattore abilitante dello sviluppo sostenibile. Una sfida portata avanti anche grazie anche alla promozione politica e culturale condotta dall’Unesco Creative Cities Network. 

RE-IMMAGINARE LE POLITICHE CULTURALI CREATIVE

Carta individua quattro livelli di azione per politiche urbane e territoriali capaci di attivare ecosistemi creativi che aggreghino e mettano a sistema le eccellenze culturali e i diversi cluster e distretti culturali che si stanno formando con iniziative autonome, ma anche i centri indipendenti e gli spazi culturali temporanei sempre più frequenti sul territorio. Politiche che ricompongano le dimensioni materiali e immateriali della cultura in una nuova alleanza tra patrimonio e creatività, tra conservazione e innovazione. Azioni in grado di rendere la cultura una componente essenziale della nostra vita, anche dal punto di vista economico.

Il primo livello, un’efficace politica di rigenerazione culturale, deve rafforzare la competitività degli epicentri e dei distretti culturali attraverso l’adozione di strategie capaci di valorizzare le potenzialità delle città medie e dei territori interni, favorendone l’integrazione con la dimensione metropolitana per aumentarne sia la massa che l’ampiezza, e quindi la potenza attrattiva.

Il secondo livello riguarda le politiche per la distribuzione degli effetti delle eccellenze culturali e dei cluster creativi all’intero territorio regionale in un’ottica ecosistemica, rivolte soprattutto alle agevolazioni per la riduzione dell’impatto ambientale, e allo stimolo alla responsabilità sociale delle imprese coinvolte, ad esempio prevedendo nei piani e nei progetti urbani norme per l’incentivazione della compensazione sociale e culturale degli oneri urbanistici e per la redistribuzione negoziata di parte degli utili in interventi per la qualità urbana, per la vivibilità e per il benessere e la sicurezza degli abitanti.

Al terzo livello appartengono le azioni per ridurre gli effetti negativi di diseguaglianza prodotti dalla presenza di un cluster creativo, sia attraverso azioni nei confronti delle dinamiche del mercato immobiliare – per evitare gli eccessi della gentrificazione, che ridurrebbero la necessaria diversità culturale e generazionale comprimendo la creatività – sia attraverso politiche compensative (controllo degli affitti, quote di riserva per l’edilizia sociale, agevolazioni fiscali per le giovani coppie, agevolazioni alle imprese giovanili o femminili).

Al quarto livello è necessario agire sul capitale sociale, non solo in termini di miglioramento della qualificazione del mercato del lavoro, ma promuovendo l’empowerment e agevolando l’autoimprenditorialità e i reticoli associativi, in modo da facilitare la trasformazione verso i settori della creative economy.

POLIFERIE

Reimmaginare le periferie significa non solo guardarle con occhi nuovi e progettarle con rinnovati strumenti, ma vuol dire anche ridefinirle epistemologicamente fin dal lessico. Non più ‘luoghi circostanti’ rispetto a una città centrale in cui sono concentrati tutti i valori, un intorno privo di identità, ma luoghi in sé, nuovi centri.

Carta propone perciò il neologismo ‘poliferie’, combinazione di pòli (molteplice) e phérein (portare), cioè luoghi plurali capaci di generare la nuova città policentrica. Ma le poliferie designano anche la combinazione di pólis (città) e phérein, cioè luoghi intensi capaci di generare nuove forme di città creative, intelligenti e giuste. 

Il capitolo a esse dedicato si apre con una citazione dal film La forma della città, del 1974, in cui Pier Paolo Pasolini si chiede, guardando i casermoni della periferia di Orte, ‘che cos’è che mi dà tanto fastidio? […] Cosa mi offende in loro? È il fatto che sono un’incrinatura, un turbamento della forma e dello stile. […] E quante volte mi hai visto soffrire, smaniare, bestemmiare perché questo disegno, questa purezza assoluta della forma della città era rovinata da qualche cosa di moderno, da qualche corpo estraneo che non c’entrava con questa forma della città’. Lo scrittore dà voce e immagine, con il suo stesso corpo, alla critica della periferia moderna come corpo estraneo, separato da quella straordinaria relazione di forma e norma, di spazio e società. Elemento deturpatore della città che si rintana entro le mura della sua storia relegando sempre di più le periferie, che essa stessa aveva generato, nel dominio dello stigma, della bruttezza estetica e della cattiveria sociale. I luoghi tenuti ai margini dai centri dello sviluppo insostenibile pretendono oggi di mettere sul campo del ripensamento dei paradigmi di sviluppo tutta la loro resilienza, innovazione sociale e creatività.

L’impegno nell’affrontare la questione della riqualificazione delle periferie – spaziali, sociali o economiche – trova quindi un nuovo impulso nel non limitarsi a un loro recupero fisico, al risanamento ambientale o al miglioramento della mobilità, agendo invece sulla loro più complessiva capacità rigenerativa dei tessuti sociali e spaziali, economici e produttivi entro nuove visioni di città in metamorfosi. Le nuove periferie posseggono preziose riserve di identità e futuro, sono depositi di patrimonio e creatività, essenziali per pianificarle e progettarle come organismi vitali in evoluzione.

EXCALATION

Per “le città del diverso presente” è venuto il momento di portare la rivoluzione dentro l’arena istituzionale, di governare l’urbanistica in maniera differente. Non avrebbe senso oggi leggere un centro storico senza scomporlo nelle diverse città/comunità che lo identificano (la città vissuta dai bambini, la città delle passioni dei giovani, la città degli adulti e del lavoro, la città del ‘terzo tempo’ degli anziani, la città dei turisti, o diverse per genere, culture, etnia). Ogni comunità, infatti, produce una lettura diversa, talvolta conflittuale, della città e propone all’urbanista bisogni diversi.

La conseguenza di una lettura pluralmente orientata della città è quindi l’affiancamento al piano regolativo di un sistema di strumenti settoriali e di politiche capaci di rispondere alle diverse letture dei bisogni: piani della mobilità sostenibile, piani dei tempi e degli orari, forme innovative di partnership pubblico-privato, agende di mediazione culturale, incentivi fiscali, distretti culturali.

Rileggere la città storica e agire di conseguenza per il suo recupero e per il futuredesign significa intervenire sia sui linguaggi lapidei, sociali, economici, che su quelli immateriali generati dalle visioni e dalle ambizioni, ed è il progetto collettivo di tutti questi linguaggi che la trasforma in nuova città.

Interpretare progettualmente il palinsesto multiculturale significa usare tali letture per ordinare, comporre e rappresentare le forme della qualità urbana, per valutare i diritti della città e dei cittadini mediando gli interessi confliggenti, eliminando gli interessi non coerenti con il progetto che gli abitanti si sono dati e attivando nuovi interessi a partire da un profondo riconoscimento dei valori, delle risorse e delle opportunità posseduti dai centri storici.

CONCLUSIONI

Il libro racconta vicende vissute nella costante percezione che siano anticipazioni di un’epoca successiva, epifanie creative che ci dimostrano l’esistenza di un futuro migliore che sta a noi realizzare con quotidiana responsabilità. Emerge un’Italia che non si arrende e un Sud che resiste e innova, città e paesi siciliani pregni di comunità sensibili e resilienti, che non accettano un presente in declino ma agiscono per aprire le porte all’adiacente possibile, una sorta di futuro ombra, più interessante e felice, che aleggia ai margini o negli interstizi dello stato attuale delle cose. Perché il futuro nasce dall’ interazione tra il reale e il possibile, ma si nutre del coraggio e della caparbietà di metterli insieme.

La lettura è adatta a tutti perché scorrevole e incalzante; non è invece una semplice antologia delle best practice di rigenerazione urbana a base culturale perchè presenta numerosi riferimenti teorici. Si rivela particolarmente utile per quanti stanno partecipando a vario titolo al ripensamento delle nostre città, sia per quanto riguarda la loro forma che per la loro vita, fatta di bisogni, relazioni e linguaggi.

Attraverso decine di storie locali di valore universale, Carta ci ricorda come disegnare, ideare, creare, inventare, pensare, questo è progettare, “gettare avanti” lo sguardo, il pensiero, l’idea di città. Non solo, una esplicita dichiarazione di intenti contenuta nel volume a cui ogni ulteriore commento sarebbe superfluo è la seguente: “Impegnarsi a realizzare un Paese, una regione, una città all’altezza della gentilezza e dello spirito felice dei bambini”.

ABSTRACT

“Futuro”, by Maurizio Carta, is a book dedicated to those who are not satisfied with being posthumous and want to build a future as a creative and responsible genesis of the possible present. The future must return to our daily lexicon. Urban planners regain the ability to imagine the city of tomorrow starting from the activation of a different present in the places we live in. We have the opportunity to shape them as a conscious outcome of our collective actions. We can modify the present that we don’t like because it would produce the future that we don’t want. The book tells about the “middle Italy” that does not give up, a South that resists and innovates, Sicilian cities full of resilient communities, open universities that return to form free people, and creative archipelagos that don’t accept a present in decline but act for open the doors to the “adjacent possible”, a kind of future shadow, more interesting, happier, which hovers at the edges or in the interstices of the current state of things.

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