Da Il Piccolo del 17 luglio
Scrivere di mafia. Con i romanzi, le ricostruzioni storiche, i saggi di buon giornalismo. Scriverne con chiarezza e intransigenza civile e morale. Per rompere proprio ciò che la mafia apprezza molto: il silenzio complice. “Semplici questioni d’onore” è il titolo del nuovo romanzo di Domenico Cacopardo, ex magistrato e scrittore arguto, per Marsilio: la storia di Tino Granaleo e delle ombre che s’addensano sulla sua famiglia man mano che l’adolescenza trascorsa nella quiete di Letojanni (lungo la costa a pochi chilometri da Taormina) a casa dell’ amatissima zia Antonia cede il passo all’adultità consapevole. Viene assassinata, la zia Antonia, da mani misteriose e spietate. E tornano inesorabili alla ribalta le vicende del padre Giorgio, scomparso con un milione di dollari subito dopo l’arrivo degli americani in Sicilia, nel 1943. Le amicizie torbide di Demetrio, cugino che tutto sa e tace. I compromessi dei parenti. E la mafia, che inquina politica e affari, traffica sui terreni edificabili e gioisce per gli “assessori amici a Palermo”, fa soldi tra la Sicilia e New York e di quel milione di dollari chiede conto, con gli interessi del tempo. E così Tino, che ama leggere “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia… La fine non si svela, come per ogni romanzo “noir”. La morale è comunque chiara: la mafia uccide, comanda, pesa, ma ci si può, in un modo o nell’altro, opporre. “Sbirri e padreterni”, scrive Enrico Bellavia, raccontando “storie di morti e fantasmi, di patti e ricatti, di trame e misteri”, pagine inquietanti frutto di colloqui con Franco Di Carlo, ex boss dei “corleonesi”, killer e uomo d’affari, poi “pentito”. Cosa Nostra “è un mostro fiaccato ma mai morente”. E le vicende ricostruite da Bellavia con la testimonianza di Di Carlo mostrano i legami tra capimafia, politici e uomini degli apparati di “intelligence” dello Stato, dall’arrivo degli americani in Sicilia nel ’43 sino a tempi recenti, con un occhio attento alla “guerra di mafia” degli anni Ottanta e poi alle stragi del ’92. Fatti e retroscena ancora da chiarire bene.
E le altre mafie? Andrea Apollonio scrive una “Storia della Sacra Corona Unita”, Rubbettino, per documentare “ascesa e declino di una mafia anomala”. Sui clan pugliesi poco si è detto. E il saggio di Apollonio colma una lacuna, descrivendo le carriere di boss che, da rapinatori, stringendo rapporti con ‘ndrangheta e camorra e facendo leva “sul piacere di ammazzare la gente”, costruiscono nel Salento, dai primi anni Ottanta al 2003, poteri e fortune economiche (grazie anche al contrabbando con i paesi della costa balcanica). “Mafia anomala”, senza né radici storiche né simbologie rituali. Ma con un solido senso degli affari. In declino, adesso. Cui però non rinunciare a guardare con attenzione giudiziaria e civile. Per capire meglio e non dimenticare, vale la pena rileggere gli articoli di Giancarlo Siani, il giovane cronista de “Il Mattino” di Castellammare di Stabia assassinato dalla camorra nel settembre 1985: sono stati riuniti in un’appassionante antologia, “Fatti di camorra”, pubblicata da IOD Edizioni, con una prefazione di Roberto Saviano. Cronache attente, puntigliose, documentate, giornalismo di fatti, nomi, dati. Che svelavano a un’opinione pubblica troppo spesso distratta quando non connivente i traffici e i delitti dei Bardellino, dei Nuvoletta, dei Gionta. Proprio quel giornalismo ben informato e privo di retorica che la mafia non ha mai amato. E che appunto per questo è necessario continuare a fare. Anche in memoria di persone come Siani.
di Antonio Calabrò
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