Tra le varie reazioni all’ormai famigerato scontro tra Quirinale e Paolo Savona non sono passate inosservate le recenti dichiarazioni, decisamente fuori dal coro, di Stefano Fassina, già economista presso il Fondo Monetario Internazionale, Viceministro dell’Economia e attuale deputato di Liberi Uguali.
Ofcs.report, che ha seguito pochi giorni fa la presentazione del libro del neo-ministro delle politiche comunitarie Come un incubo e come un sogno – alla quale hanno preso parte oltre a Paolo Savona, Giorgio La Malfa e lo stesso Fassina – ha deciso di approfondire direttamente con lui questa posizione tanto “eretica” quanto originale per chi, in questi ultimi anni, è stato protagonista del dibattito economico e politico della sinistra parlamentare.
Ben prima della querelle che ha caratterizzato la nomina di Savona a ministro dell’Economia lei ha avuto modo di dichiarare il suo apprezzamento per le idee del neo-titolare delle Politiche UE. Come mai a sinistra le idee di Savona vengono viste con così tanto sospetto?
“La sinistra, in tutte le sue declinazioni, sia quella di governo, sia quella cosiddetta “radicale”, è largamente inconsapevole del funzionamento effettivo del mercato unico e dell’euro. Si muove tra europeismo liberista e cosmopolitismo astratto. Purtroppo, la cultura economica nelle nostre file è scarsa e quella presente è, prevalentemente, quella dominante da trent’anni nelle università: il neo-liberismo. Inoltre, permane un europeismo fideistico, impermeabile ai dati di realtà, motivato dal terrore che qualunque interpretazione degli interessi di classe in chiave nazionale degeneri in nazionalismo, autarchia, xenofobia. Infine, la classe dirigente ancora in prima fila è stata protagonista delle scelte decisive degli ultimi 25 anni. Arriva a riconoscere l’insostenibilità della globalizzazione, ma fa fatica ad ammettere di aver contribuito a realizzare un impianto liberista estremo con il mercato unico e l’eurozona”.
Lei ha affermato che avrebbe voluto leggere alcune posizioni di Savona da qualcuno del “suo” mondo. La sinistra, durante le scorse elezioni, ha pagato l’assenza di ricette del genere?
“Assolutamente sì. Ci siamo proposti, con le figure in prima fila, come il Pd delle origini, quelli che hanno portato l’Italia nell’euro e poi “salvato” il Paese con il sostegno al Governo Monti. Non vi è stata e, in larga misura, non vi è tutt’ora la consapevolezza che, come per la sinistra storica nel resto dell’Unione europea, la rottura con i nostri insediamenti sociali si è consumata a causa delle scelte del “Trentennio inglorioso” alle nostre spalle, non semplicemente per colpa di Renzi”.
Recentemente ha destato scalpore la sua posizione personale riguardo l’esecutivo Conte e il contratto di governo. Quali le proposte che avrebbe voluto che fossero state fatte proprie dalla sinistra?
“Nel nostro programma elettorale, vi sono alcune delle proposte che abbiamo ritrovato nel “Contratto” che condividiamo e che sosterremmo se fossero portate in Parlamento: la necessità di forzare il quadro regolativo europeo non soltanto sul terreno della finanza pubblica, ma anche per alcune Direttive, come la Bolkestein; gli interventi correttivi della Legge Fornero; la strategia verde per l’economia; la banca pubblica per il sostegno agli investimenti”.
Solo dieci anni fa il centrosinistra contava sui voti di oltre un terzo del Paese. Potesse tornare indietro quale decisione cambierebbe rispetto ad alcune politiche poi sonoramente bocciate dagli elettori?
“10 anni fa nasceva il Pd al Lingotto all’insegna del blairismo, versione compassionevole del neo-liberismo, quando diventavano evidenti le contraddizioni dell’ordine neo-liberista con la”crisi” avviata dai mutui sub-prime negli Usa. Gli eredi del Pci, del cattolicesimo liberal-democratico e del cattolicesimo sociale erano completamente inconsapevoli della fase. Il Pd è stata una scelta autolesionista: non perché ha unito culture e storie politiche diverse, ma perché l’ha fatto sull’asse dell’europeismo liberista e del plebiscitarismo con la santificazione delle primarie per eleggere il segretario del partito. Poi, esiziale, è stato non “staccare” la spina al governo Monti a giugno 2012, dopo le elezioni amministrative con autonomia e consapevolezza della rabbia del nostro universo sociale”.
Qual è la ricetta per far tornare il centrosinistra protagonista del dibattito pubblico?
“La sfida è enorme. Coinvolge tutte le forze della sinistra storica: la famiglia del socialismo europeo, spiaggiata e al margine ovunque. Dobbiamo partire dalla consapevolezza che il mercato unico e l’euro, come regolati dai Trattati e dall’agenda mercantilista dominante trainata dalla Germania, sono fondati sulla svalutazione del lavoro, quindi negano in radice la funzione stoica della sinistra. Nel quadro dato, la sinistra è morta. Sulla base di tale consapevolezza, oggi minoritaria sia nella sinistra storica, sia nella sinistra radicale o antagonista, dobbiamo fare forzature intelligenti al quadro dominante, ridefinire qualche strumento di governo dell’economia per lo Stato nazionale all’insegna del patriottismo costituzionale”.
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