Da Avvenire del 15 giugno
Venti anni fa non l’avremmo apprezzato, sebbene il “nuovo che avanza” avesse preso già a tentennare. Leggi oggi i nomi e i racconti contenuti nell’ultimo libro di Sergio Zoppi (Pietre di confine – personali approfondimenti, Rubbettino, 203 pagine, 15 euro) e affiora la sensazione che in un quarto di secolo sia stato buttato anche il bambino dell’idealità con l’acqua sporca della mala-politica.
Dici Zoppi e pensi Intervento straordinario nel Mezzogiorno. Per 20 anni al vertice del Formez, l’istituto di formazione per il Sud, più volte sottosegretario, studioso ed editorialista (per un periodo anche del nostro giornale) Zoppi è stato un intellettuale consegnato, più che prestato, alla politica. Una politica d’altri tempi. Fatta di carrozzoni inutili, si direbbe oggi, ma una volta superati questi la storia degli ultimi anni restituisce l’immagine di un Sud che ha impattato la crisi senza rete, sempre più indietro in un Paese che fatica ad andare avanti.
Ma non è uomo del Sud, Zoppi. Toscano di Sesto Fiorentino, contagiato negli anni dell’università dalla capacità di pensare in grande della Firenze anni 50. Una storia fatta di incontri che l’autore ripercorre tramite alcuni quadretti di protagonisti del passato che gli hanno segnato la vita, e non solo la sua. Il primo, l’inizio di tutto, col “sindacosanto” Giorgio La Pira. «Mi colpiva – ricorda – il suo andare al cuore dei problemi, ancorando alle realtà terrene di ogni giorno la visione teologale che lo ispirava». Una Firenze costellata di uomini come Ettore Bernabei, Nicola Pistelli, o giovani come il giornalista Vittorio Citterich, dai quali Zoppi apprende l’aspirazione, derivante dalla formazione cristiana, a impegnarsi per cambiare le cose.
I modelli erano figure profetiche, come quella di Romolo Murri. Nel volerla approfondire per la tesi di laurea troverà consenziente un docente laico, come Giovanni Spadolini, in grado di indicargli, di getto, dieci libri su cui studiare l’insegnamento del sacerdote modernista. Ma saranno le terme di Montecatini a segnare la svolta, nei lunghi colloqui con il segretario della Cisl Giulio Pastore, passato poi all’impegno politico e più volte ministro per il Mezzogiorno, che gli proporrà di venire a Roma mentre l’impegnativo cimento con Spadolini era ancora in corso e la laurea non ancora conseguita.
I ritratti di Giovanni Marongiu, Manlio Rossi Doria, Pasquale Saraceno, “meridionalisti” da cui Zoppi apprese i rudimenti del mestiere che lo vedrà all’opera per 30 anni. E poi Amintore Fanfani e Giulio Andreotti, due grandi interlocutori politici al tempo (1960) del suo approdo a Roma. Da Andreotti, in una lettera, il ricordo della paternità politica di De Gasperi della Cassa del Mezzogiorno, per creare «un sistema di interventi straordinari, nel senso di aggiuntivi e di speditezza attuativa». Ma, notava Andreotti, perché ciò non si traducesse in «uso disinvolto» dei fondi volle alla guida un giurista, l’ex presidente del Consiglio di Stato Ferdinando Rocco. Zoppi ne trasse una lezione nell’interloquire, nel tempo, con «non meno di 50 ministri».
Divertente il racconto degli auguri di Natale di uno di loro, conditi con la richiesta, quasi un’intimazione, di assumere un “protetto” destinato alla carriera politica. Una richiesta di stipendio, insomma, più che di lavoro, che incontrò un coraggioso diniego. «La tua carriera è finita, sappilo!», lo avvertì un amico. «Effettivamente non mi sono mosso dal Formez, sino al 96», annota Zoppi. Sarà sottosegretario con Prodi e con D’Alema, ma sarà una breve stagione. Tutta la politica, ormai, stava cambiando. E non sempre in meglio.
di Angelo Picariello
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