Mariotto Segni, 82 anni, ex deputato della DC, figlio di Antonio-che fu Capo dello Stato, dal maggio del 1962 al dicembre del 1964-in un libro, edito da Rubbettino, ha definito “la più grande fake-news della storia della Repubblica” le narrazioni sugli eventi dell’estate del 1964, seguiti alla crisi del primo governo di centrosinistra. E, difendendo suo padre, ha bocciato storici, politici e giornalisti, che hanno vergato articoli e libri sul presunto golpe del generale Giovanni De Lorenzo, ex Capo del SIFAR.
Ma, secondo Elena Cavalieri, autrice del saggio “I piani di liquidazione del centrosinistra”, il punto non è negare la pericolosità del “piano Solo” : deportazione in Sardegna dei dirigenti dei partiti di sinistra, dei sindacati e di una lunga lista di militanti social-comunisti e intellettuali, tra cui Pontecorvo e Pasolini.
Quanto mettere in evidenza i retroscena della crisi. La Cavalieri dà credito all’ipotesi che i contatti tra Segni e i vertici militari, in primis il gen.De Lorenzo, qualche anno dopo eletto deputato del MSI, servissero per prepararsi a contenere, con estrema durezza, reazioni di piazza. Non a organizzare un golpe, come scrisse Lino Jannuzzi, su “L’Espresso”, diretto da Eugenio Scalfari. In primo grado, i giornalisti, querelati da De Lorenzo per diffamazione, vennero condannati, ma assolti in appello.
Pietro Nenni, morto 40 anni fa, non può replicare a Mariotto Segni, che nega persino che l’allora vicepresidente del governo di Aldo Moro abbia mai pronunciato la famosa frase sul “tintinnare di sciabole”, che si sarebbe udito, in quel drammatico periodo, nei Palazzi del potere.
Non è più tra noi anche Giuseppe Saragat, leader del PSDI e successore di Segni al Quirinale, a cui ricostruzioni di quelle giornate attribuirono sospetti sui presunti disegni oscuri dell’inquilino sardo del Colle. Dopo un drammatico colloquio, il 7 agosto del 1964, tra i due statisti, Segni venne colpito da un ictus cerebrale e sostituito, per la supplenza, dall’allora Presidente del Senato, Cesare Merzagora, fino alle dimissioni definitive, rassegnate a dicembre.
Aldo Moro, del resto, nella prigione delle BR, dopo il sequestro del 16 marzo 1978, vergò questa precisa narrazione : “Il tentativo di colpo di Stato, nel 1964, ebbe, certo, le caratteristiche di un intervento militare, secondo una determinata pianificazione, propria dell’Arma dei Carabinieri. Ma finì per utilizzare questa strumentazione militare, essenzialmente, per portare a termine una pesante interferenza politica, rivolta a bloccare, o almeno a, fortemente, ridimensionare la politica dì centrosinistra, ai primi momenti del suo svolgimento. Questo obiettivo era perseguito dal Presidente della Repubblica, Antonio Segni, che tale politica aveva, timidamente, accettato, in connessione con l’obiettivo del Quirinale…L’apprestamento militare, caduto l’obiettivo politico, che era quello perseguito, fu disdetto dallo stesso Capo dello Stato”.
Insomma, anche gli scettici sul tentativo di golpe non possono negare che l’ultraconservatore Segni si mosse per depotenziare il centrosinistra. Sugli eventi del giugno-luglio 1964 venne istituita una Commissione parlamentare d’inchiesta, al fine di compiere accertamenti sulla gestione del Servizio Informazioni Forze Armate (SIFAR), diretto da De Lorenzo dal 1955 al 1962.
La legge conferiva alla Commissione il mandato di esaminare se i comportamenti dei capi del SIFAR dovessero essere considerati in contrasto con la normativa vigente e di formulare proposte di riordinamento dei Servizi di informazione e sicurezza.
La Commissione, formata di da 9 deputati e da 9 senatori, nominati dai Presidenti delle Camere, venne presieduta da Giuseppe Alessi (DC). E indicò, tra i responsabili delle “deviazioni”, oltre a De Lorenzo, anche il suo successore alla guida del SIFAR, il generale Egidio Viggiani e, in misura minore, il Capo di Stato maggiore della Difesa, Aldo Rossi. Tutti gli altri protagonisti della vicenda fecero brillanti carriere. Emarginato e destituito il vicecomandante generale dei CC, gen.Giorgio Manes, implacabile accusatore di De Lorenzo e indicato da Jannuzzi come una delle fonti dell’inchiesta de “L’Espresso”.
Quell’estate torrida non fu caratterizzata da arresti e deportazioni. Ma frantumò il sogno riformista e impresse una brusca frenata sulle riforme di struttura, che erano alla base del patto tra il PSI autonomista di Nenni e la Dc dell’apertura a sinistra attuata, seppur timidamente, da Aldo Moro. Il leader romagnolo-grande tribuno, per cui esistevano i livelli alti e la politique d’abord-scrisse, sull’”Avanti !”, di temere, se non l’ascesa dei generali al potere, la formazione di un “governo di emergenza con un carattere fascistico-agricolo-industriale”, e il tentativo di umiliare il Parlamento, i partiti, i sindacati.
Durante quella tempestosa crisi-anche a causa della scarsa conoscenza, da parte del PSI, degli apparati, i cosiddetti Corpi separati dello Stato-subì una notevole battuta d’arresto il disegno socialista di rendere più forti le resistenze delle istituzioni ai tentativi di condizionamento e di pressione di gruppi di potere e lobbies, finanziarie e militari, ostili all’allargamento della democrazia.
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