Se spariscono critica e dubbio si uccide la liberal-democrazia (Ilgiornale.it)

di Dino Cofrancesco, del 27 Luglio 2023

Ferdinando Adornato, Rino Fisichella

La libertà che cambia

Dialoghi sul destino dell'Occidente

Un teologo (Fisichella) e un laico (Adornato) dialogano sullo scontro geopolitico mondiale e l’identità dell’Europa

Ferdinando Adornato e Rino Fisichella hanno dialogato, in un libro pubblicato da Rubbettino (a cura di Gloria Piccioni), sul problema cruciale del nostro tempo, La libertà che cambia. Dialoghi sul destino dell’Occidente. «Mi sono chiesto – scrive Adornato – quale sia il vero senso delle riflessioni raccolte in questo volume. Ebbene, credo si possa dire che siamo entrambi andati alla ricerca dei motivi che possano rimotivare una grande alleanza tra la fede e la ragione». Insomma, il vecchio progetto che ispirò la nascita del Multino prima che diventasse una delle tante riviste del pensiero unico della sinistra.

Dico subito che la dimensione etico-teologica del saggio mi sembra non poco problematica. Quando leggo certe riflessioni – «Se la libertà non avesse relazione con la verità, come potrebbe, anche un non credente, decidere cos’è il Bene e cos’è il Male? In base a quale ordine di valori si potrebbe decidere che Hitler o Stalin sono il Male? Chi ha stabilito, infatti, che uccidere o fare del danno agli altri è peccato se non le Tavole della Legge oppure, se si preferisce, i precetti dell’ordine naturale? In base a quale altro criterio di verità un essere umano potrebbe definire la propria e l’altrui libertà?» – mi vengono in mente non solo le parole di Ponzio Pilato – Quid est veritas? – ma, altresì, il libro di un filosofo del diritto analitico, Etica senza verità. In politica non ci sono verità ma valori in conflitto di cui dobbiamo essere realisticamente consapevoli. Per citare Joseph A. Schumpeter: «Rendersi conto della validità relativa delle proprie convinzioni, eppure difenderle senza indietreggiare, è ciò che distingue un uomo civile da un barbaro». Parlare di una scienza del bene e del male significa, in ultima istanza, ignorare che l’essenza della democrazia sta nel registrare le cose che i cittadini, di volta in volta, ritengono buone o cattive.

Più convincente, invece, è la critica (sia pur non nuova) dell’individualismo dei diritti che sta inaridendo le società occidentali. «In sostanza – scrive Adornato – a partire dalla fine degli anni Sessanta, si è fatto strada un convincimento generale che ha assunto quasi le sembianze di verità di fede. E cioè l’idea che il benessere di una democrazia sia direttamente proporzionale all’estensione dei diritti individuali. Più diritti per l’individuo = più democrazia. Da allora in poi, sulla base di questa equazione, ogni provvedimento teso a far prevalere diritti di comunità (o soltanto norme di tutela collettiva) sui diritti individuali è stato letto come un attentato alla democrazia. Ed è logico: se la bontà del sistema viene vista unicamente nella realizzazione di un’illimitata espansione dell’individuo, qualsiasi proposta che punti a perseguire un equilibrio tra valori comunitari e diritti individuali non può che essere ritenuta antidemocratica. Lungo questa strada laicista, però, non viene colpita soltanto la morale cattolica: viene messa fuori gioco qualsiasi nozione di etica pubblica. Escluso, ovviamente, il precetto della totale soddisfazione esistenziale». «L’esasperata ricerca della soddisfazione del diritto individuale gli fa eco Fisichella sta distruggendo il diritto sociale».

Sulle cause di questo oscuramento dell’intelligenza occidentale, gli autori però non vanno a fondo: non c’è traccia nel libro dell’imponente letteratura che, sulle due sponde dell’Oceano, ha analizzato il nesso tra il declino della comunità politica (lo Stato nazionale) e l’affermazione di quell’universalismo etico, giuridico ed economico inteso a delegittimare tutto ciò che si riferisce al «particolare», dalla famiglia alla nazione. Penso ad autori come Pierre Manent, Pierre-André Taguieff, Yael Tamir, Margaret Canovan, lo stesso Yoram Hazony.

Adornato, in particolare, che pure stila una sorta di catalogo del conservatore, entra in polemica con una sinistra ormai sparita – che al liberismo etico unirebbe stranamente uno statalismo economico, impensabile oggettivamente senza sovranismo. È come se che le analisi di Luca Ricolfi sulle metamorfosi della sinistra fossero cadute nel vuoto. In realtà, quella odierna è una sinistra europeista, globalista, iperatlantista (George Soros non è certo un simbolo di destra) che non dovrebbe dispiacere ad Adornato, che citando «una (per lui) felice espressione di Biagio de Giovanni» parla dell’emergere di uno «scontro tra potere orientale (Russia, Cina, India, Iran) e potere occidentale» che vede esploso nella guerra russo-ucraina. È il leit motiv di Repubblica, della Stampa, eccetera.

Nel suo iperatlantismo, Adornato arriva a prendersela con Papa Bergoglio che agli inizi del conflitto sarebbe stato «troppo equidistante». «La presunta colpa della Nato di aver abbaiato ai confini della Russia» gli è sembrata «un’opinione geopolitica infondata». Sennonché era pure l’opinione di George Kennan, di Harry Kissinger, di John Mearsheimer, il più grande scienziato politico statunitense dopo la morte di Samuel P. Huntington! A scanso di equivoci, ritengo anch’io che l’Europa, la Nato, il dovere di prestare aiuto a un Paese aggredito come l’Ucraina rientrino nel bagaglio ideologico del democratico liberale. Credo, però, nel diritto di esaminare liberamente e criticamente le decisioni riguardanti la politica internazionale. Siamo alleati consapevoli e responsabili degli Stati Uniti o siamo gli ascari della Grande Armée atlantica? Le colpe di Putin sono evidenti e indelebili, ma come mai nel libro non c’è alcun accenno agli Accordi di Minsk, su cui aveva richiamato l’attenzione Matteo Renzi, deprecandone il mancato rispetto? «Certo – scrive Fisichella – si potrebbe discutere all’infinito se quei determinati confini siano ucraini o russi, ma nel momento in cui la comunità internazionale li riconoscesse come ucraini, quella dovrebbe essere accettata come l’identità di una nazione». Se la comunità internazionale, quindi, decide che il Lombardo-Veneto è territorio austriaco, la guerra contro Francesco Giuseppe diventa un attentato all’indipendenza degli stati sovrani? Forse va recuperato il senso della complessità insuperabile delle vicende umane.