da Il Mattino del 14 gennaio
Sicuramente importante è il libro di Elio Cadelo e Luciano Pellicani Contro la modernità. Le radici della cultura scientifica in Italia (Rubbettino, pagg. 174, euro 12). E lo è per il tema: la scarsa diffusione nel nostro Paese della cultura scientifica e tecnica, affrontato da un giornalista e divulgatore scientifico di vecchia data, Cadelo e da uno dei più importanti e tradotti sociologi italiani, Pellicani. D’altronde, che il nostro Paese sia arretrato nel settore della cultura scientifica e che questo sia un segno di debolezza non indifferente sulla via dello sviluppo e della modernità, è un dato di fatto, incontrovertibile. Il libro ha il merito di ricordarcelo ponendo innanzi ai nostri occhi, in modo chiaro e mai noioso, una quantità notevole di dati statistici e di elementi probanti. Più discutibile ci sembra invece, nella forma e nel contenuto, l’individuazione che i due autori fanno dei nemici culturali della mentalità scientifica e della scienza stessa nel nostro Paese. Hanno ragioni da vendere quando se la prendono con certa sinistra anticapitalista e reazionaria. Meno, anzi nessuna, ne hanno, a mio avviso, quando, andando più indietro nel tempo, lanciano i loro strali contro il cosiddetto «neoidealismo» di inizio Novecento. A parte il fatto che i neoidealisti non rappresentarono affatto un potere culturale omogeneo e egemonico, ciò che va sottolineato è che né Croce né Gentile possono essere detti nemici del pensiero scientifico, che non ostacolarono affatto. Croce, ad esempio, funemico delle degenerazioni del positivismo non certo della scienza, appropriandosi anzi nel suo «sistema» di molte intuizioni dell’epistemologia scientifica a lui contemporanea (Mach, Avenarius, Poincaré). Quanto a Gentile, nel cui pensiero non è possibile pone una gerarchia fra le discipline o attività umane, egli dette moltissimo spazio a scienza e scienziati nella Treccani. D’altronde, studi recenti come quelli di Alessandra Tarquini o Daniela Coli non lasciano dubbi in proposito, anche se già Francesco Barone aveva messo in luce il rapporto positivo fra il pensiero scientifico e quello di Benedetto Croce in un saggio che nel 1982 pubblicò, paradossalmente, proprio la rivista allora di Pellicani, «Mondoperaio».
Probabilmente, piuttosto che deterministicamente alla presunta «egemonia culturale» dell’idealismo, il ritardo scientifico dell’Italia va imputato alla mancanza di organizzazione e capacità di lavorare in gruppo dei suoi abitanti. Una incapacità atavica, quasi antropologica (si pensi alle considerazioni di Guicciardini o di Leopardi), che se è un elemento favorevole nelle discipline creative non lo è affatto per lo sviluppo della scienza modernamente intesa.
di Corrado Ocone
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