Dal Giornale di Brescia del 3 febbraio
Francia e Stati Uniti abbattono Gheddafi per favorire la nascita di una democrazia, col risultato di gettare la Libia nel caos e fra le braccia degli integralisti islamici. George Bush attacca l’Iraq di Saddam per combattere (afferma) il terrorismo, ma a distanza di dodici anni quell’area è sconvolta dall’avanzata dell’Isis. L’Unione Europea apre le porte all’Ucraina per estendere la sua pacifica influenza, scatena la reazione della Russia e diventa concausa della guerra civile in atto. Aristotele le chiamava «peripezie» della storia: azioni che portano ad un risultato opposto a quello preventivato. Perché ignorano la complessità della politica, sfidano la sua imprevedibilità, sottovalutano i fattori umani, ma anche il caso che muta eventi e condizioni. La politica non è una scienza esatta, una tecnica perfetta, un sistema meccanicistico, un’evoluzione determinata. È fatica quotidiana del confronto con l’altro, capacità dell’uomo politico di cogliere l’attimo, capire la situazione, volgerla a suo favore. Ne era convinto l’inglese Martin Wight (1913-1972), storico, politologo, teologo anglicano, erudito, autore di un testo sulla materia scritto fra il 1957 e il 1959, finora inedito assoluto. Michele Chiaruzzi, docente di Relazioni internazionali all’Università di Bologna, l’ha riscoperto, tradotto e curato, mandandolo in libreria col titolo «Fortuna e ironia in politica» (Rubbettino, 67 pagine, 12 euro). Un saggio denso e stimolante, presentato ieri in Loggia dal curatore e dal sindaco Emilio Del Bono, sollecitati dalle domande di Carlo Muzzi, cronista politico del Giornale di Brescia.
La fortuna e l’ironia, dunque. La prima intesa come caso, destino, provvidenza, buona (o cattiva) sorte; la seconda sinonimo di peripezia, deformazione delle azioni da parte del contesto storico. Martin Wight, nel saggio, cita fra gli altri Aristotele, Polibio, Machiavelli; propone esempi della storia antica e moderna. Per fissare i punti fermi della sua visione. Chiaruzzi li ha elencati: la politica è talmente complessa che sfugge alle tecniche; azioni ed effetti non coincidono quasi mai; gli eventi e le persone sono imprevedibili, recalcitranti alla guida; è impossibile controllare tutti i fatti rilevanti; non è giusto e sensato ridurre la politica a schemi lineari. A contare, dunque, è il politico-uomo: «Lo statista – parole di Chiaruzzi – è colui che riesce a leggere il contesto e le persone, che coglie bene la complessità delle cose». Prendiamo un caso attualissimo, la vittoria di Alexis Tsipras in Grecia e le sue conseguenze sull’Unione Europea: «Al centro della discussione tornano le scelte politiche degli uomini», a sfavore dei freddi parametri economici.
È vero, ha convenuto il sindaco di Brescia, «Martin Wight coglie appieno l’imprevedibilità degli eventi, ma non demolisce la politica, anzi». Sposta l’accento dalla tecnica all’uomo. «Ci dice che la politica è una cosa complicata perché non ci sono fattori deterministici. Non basta la perizia». Servono «una grande consapevolezza, la capacità di leggere la situazione, di interpretare la realtà e di individuare soluzioni ai problemi». La genialità, l’intuito, l’esperienza aiutano. Insieme alla volontà di capire gli uomini, di fare i conti con i suoi vizi e le sue virtù: rivendicando il primato della politica, conoscendone però i limiti. Perché di agire umano si tratta, imperfetto per definizione.
Martin Wight, all’inizio del suo saggio, cita una celebre frase del Principe di Niccolò Machiavelli: «Perché il nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma etiam lei ne lasci governare l’altra metà, o presso, a noi». Guai credere che tutto sia casuale come determinato. Nei secoli il concetto di fortuna è cambiata, ha sottolineato Carlo Muzzi introducendo il dibattito, ma «l’imprevedibilità della politica è invece rimasta immutata. Un tema scivoloso, poco frequentato dai politologi, perché è difficile imbrigliare la fortuna». Capire le evoluzioni del destino e vincere le sfide che esso propone è virtù dei veri statisti.
di Enrico Mirani
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