Scuole paritarie,“Lettera ai politici sulla libertà di scuola” (orizzontescuola.it)

di Dionisia D’Angelo, del 18 Ottobre 2018

Inviato da* – Ho letto quasi d’un fiato la “Lettera ai politici sulla libertà di scuola”, con le riflessioni di un filosofo di razza come Dario Antiseri e di una paladina della libertà di educazione come suor Anna Monia Alfieri.

Sono presidente di una scuola dell’infanzia della profonda Brianza, creata 147 anni fa da un popolo che sapeva provvedere a sé stesso, sei classi, più una sezione primavera, e so molto bene che cosa significhi far quadrare un bilancio e contemporaneamente offrire un servizio di eccellenza alle famiglie che scelgono di venire alla nostra scuola. Si fa il classico salto carpiato triplo all’indietro..

Quando il prof. Antiseri, nella prima parte del testo, si chiede “uno Stato nel quale un cittadino deve pagare per conquistarsi un pezzo di libertà è ancora uno Stato di diritto?”, credo che ogni genitore di figlio che frequenta una qualunque scuola pubblica paritaria risponderebbe di schianto un sonoro “no”. Il monopolio statale nella gestione del sistema formativo è un tratto distintivo dello Stato etico, vale a dire dello Stato totalitario. E’ negazione di libertà; soltanto l’esistenza di una scuola liberamente scelta (cioè senza vincoli economici) garantisce alle famiglie delle reali alternative culturali e valoriali. E’ negazione di giustizia sociale: famiglie che mandano il proprio figlio alla scuola non statale pagano due volte, attraverso le tasse – per un servizio che non utilizzano – e un’altra volta per la retta che pagano alla scuola frequentata dal proprio figlio. Devasta l’efficienza della scuola, che solo in un ambito di concorrenzialità può crescere e non trasformarsi in una nicchia protetta e soffocata burocraticamente.

Alexis de Tocqueville, Antonio Rosmini, John Stuart Mill, Bertrand Russell, Luigi Einaudi, Karl Popper, don Luigi Sturzo, Gaetano Salvemini, Alan Friedman, Antonio Gramsci, Don Lorenzo Milani e molti altri sono citati a sostegno del principio e della convenienza della libertà di educare. Tra loro italiani, grandi e nobili figure, che hanno fatto la storia politica, culturale ma anche economica dell’Italia, per cui si potrebbe pensare che nel nostro amato Paese il diritto alla libertà di educazione sia rispettato. Resistenze inspiegabili da un punto di vista della ragione minano ancora oggi l’affermazione di questo principio, che permetterebbe all’Italia impoverita di oggi di uscire finalmente dall’angolo in cui si è cacciata per scelte miopi di generazioni intere di governanti di vario colore, scelte che hanno avuto spesso come unico comun denominatore la mancanza di interesse reale per la scuola, interesse che andasse oltre il puro calcolo della convenienza “politica”.

Leggendo i grafici che l’intelligenza di Sr. Anna Monia Alfieri ha reso comprensibili a tutti, si evince che siamo in fondo, in fondo, alle classifiche di qualunque tipo, elaborate non da solerti difensori di parte della scuola paritaria, ma dall’OCSE, organismo europeo al di sopra di ogni sospetto. Per dire, in molti casi, siamo prima solo della Grecia, la stessa Grecia la cui sorte infausta in termini di capacità di gestione della spesa pubblica viene citata continuamente in questi giorni. Sr. Anna Monia ci spiega che c’è un metodo per recuperare una consistente fetta di spesa pubblica: introdurre nel finanziamento del sistema scolastico pubblico, statale e paritario,il voucher calcolato sulla base del costo standard per alunno.

Leggendo, per esempio, quanto fatto dalla Svezia, si potrebbe imparare molto: l’introduzione del voucher ha rivalutato,nel giro di un decennio, tutti gli indici OCSE in base ai quali vengono valutati gli alunni. Oggi la Svezia si attesta al 6° posto. il dibattito politico sulle difficoltà del dispendioso e inefficiente sistema educativo centralizzato svedese (sembra di parlare dell’Italia …), portò nel 1990, sotto il governo social-democratico, a trasferire la gestione delle scuole alle municipalità e a ridurre all’essenziale il ministero dell’Istruzione, cui seguì la “rivoluzione della scelta” con scuole approvate dall’Agenzia nazionale per l’educazione (le nostre scuole paritarie). E la successiva introduzione del buono scuola nel 1992 ha portato il sistema scolastico svedese ad eccellere in Europa, facendo contemporaneamente risparmiare allo Stato, nonostante le risorse spese per l’istruzione siano il 13,2% (contro il misero 8,4% dell’Italia, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti).

Possibile che sia così difficile capire e far capire che è conveniente, economicamente conveniente, dare finalmente corpo vero alla libertà di scelta? Se la scuola pubblica paritaria sa dare un servizio buono, quando non eccellente, e riesce a farlo ad un costo per alunno di gran lunga inferiore a quello che lo stesso alunno richiede alle tasche dei cittadini che pagano le tasse, possibile che oggi siamo ancora qui a chiederci perché non sia possibile l’introduzione del costo standard? Perché se si è potuto stabilire una volta per tutte che una siringa per iniezioni o delle garze devono avere lo stesso costo standard sia a Milano che a Reggio Calabria, questo principio diventa fantascienza quando si parla di scuola? Eppure è stato dimostrato che conviene. Perché si sceglie di piegare il bene dei ragazzi, del futuro, a logiche politiche di corto respiro? Queste, e molte altre, sono le domande che emergono dalla lettura del libro.

A me, a noi, che sul campo tocchiamo con mano quanto la miopia del sistema centralizzato statale costi in termini di libertà, viene da chiedere: ma quando? Quando finalmente si metterà fine al monopolio dello Stato? Quando si darà corpo e carne a quanto sembrava conquistato con l’entrata in vigore della L.62/2000? Anche noi facciamo nostra e sottoscriviamo questa lettera ai politici. Svegliatevi, è ora.

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