La scuola statale italiana sta morendo di centralismo burocratico e nella sua agonia sta trascinando anche le povere paritarie utilizzando gli strumenti di una concorrenza economica sleale mai sanata. Riflessioni sul libro di Antiseri e Alfieri.
Mi è stato inviato il libro “Lettera ai politici sulla libertà di scuola” del filosofo Dario Antiseri e di suor Anna Monia Alfieri. Anche se ho l’impressione che scrivere lettere ai politici serva davvero a poco, poiché non c’è peggior cieco di chi non vuol leggere, l’ho letto volentieri e non ne sono pentito.
Come ha scritto Nicola Porro in un simpatico articolo uscito su Il Giornale, si tratta di “un vero testo rivoluzionario”. Non perché inciti alla violenza o alla distruzione, ma perché oggi non c’è nulla di più rivoluzionario che dire cose sensate, tipo “le foglie d’estate sono verdi” oppure “maschio e femmina li creò”…
Sono poco più di 100 pagine, ma dense di pensieri rivoluzionari veri, attinti alla sapienza di persone che sapevano guardare alla realtà senza i paraocchi e riconoscere ciò che è bene, indipendentemente dal credo politico o religioso. Come ad esempio Gaetano Salvemini (laico e socialista), citato già nella copertina del libro, che senza mezzi termini disse: “Se nella città, in cui abito, le scuole pubbliche funzionassero male, e vi fossero scuole private che funzionassero meglio, io vorrei essere pienamente libero di mandare i miei figli a studiare dove meglio mi aggrada. Lo Stato ha il dovere di educare bene i miei figli, se io voglio servirmi delle sue scuole. Non ha il diritto di impormi le sue scuole, anche se i miei figli saranno educati male”.
O come altri veri rivoluzionari, che talvolta sono presi a modello per opporsi proprio alla libertà di educazione e alle tanto detestate “scuole private”, senza sapere in realtà come la pensavano. Leggiamo quanto è riportato:
«Le obiezioni che vengono giustamente mosse all’educazione di Stato, non si applicano alla proposta che lo Stato renda obbligatoria l’istruzione, ma che si prenda carico di dirigerla; che è una questione del tutto diversa» (John Stuart Mill).
«I padri di famiglia hanno dalla natura e non dalla legge civile il diritto di scegliere per maestri ed educatori della loro prole quelle persone, nelle quali ripongono un maggior confidenza» (Antonio Rosmini)
«Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera, della scuola lasciata all’iniziativa privata e ai comuni. La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola è indipendente dal controllo dello Stato» (Antonio Gramsci)
«Si parla tanto di libertà e di difesa della libertà; ma si è addirittura soffocati dallo spirito vincolistico di ogni attività associata dove mette mano lo Stato; dalla economia che precipita nel dirigismo, alla politica che marcia verso la partitocrazia, alla scuola che è monopolizzata dallo Stato e di conseguenza burocratizzata» (Don Luigi Sturzo)
«Senza concorrenza fra istituti statali e istituti privati, non v’ha sicurezza che l’insegnamento sia l’ottimo […]. Il monopolio statale dell’istruzione, con danno palese per la cosa pubblica, non dissimile dal danno recato da ogni altra specie di monopolio» (Luigi Einaudi)
«Né preti né laici potranno mai fare nulla di perfettamente puro e sarà dunque meglio lasciare che si perfezionino quanto possono gli uni e gli altri possibilmente senza difficoltà economiche in libera e realmente pari concorrenza» (Don Lorenzo Milani)
Sono solo alcune delle fonti di pensiero cui hanno attinto gli autori per realizzare questo libro. Ma, in fin dei conti, non sarebbe nemmeno necessario rifarsi a tanto autorevoli personaggi per giustificare la richiesta di una effettiva libertà di educazione e di parità scolastica nel nostro Paese. Basterebbero osservazione e ragione.
La scuola statale italiana sta morendo di centralismo burocratico, e nella sua agonia sta trascinando anche le povere paritarie (che in massima parte svolgono un ottimo servizio), utilizzando gli strumenti di una concorrenza economica sleale mai sanata dalla L.62/2000 e l’abnorme produzione governativa di vincoli, direttive, lacci e lacciuoli burocratici che, in nome della realizzazione di una irrealizzabile società perfetta, ne paralizzano il funzionamento. Basti pensare alle norme paranoiche sulla privacy e sulla sicurezza, per non parlare poi del sistema di arruolamento dei docenti…
I risultati di questa agonia sono davanti agli occhi di tutti, anche se molti continuano a far finta di nulla: In Europa, siamo uno dei paesi che spende meno in istruzione, il 3,5% del Pil (dato dell’ultima legge di Bilancio in approvazione), il 7,4% della spesa pubblica complessiva: quattro punti abbondanti sotto la media Ocse; siamo penultimi nell’area Ocse, davanti al solo Messico, col nostro 18% di laureati sul totale della popolazione, contro il 37% del dato medio e il 46% di Regno Unito e Usa; siamo penultimi in Europa per il numero di laureati, 26 ogni 100, nella fascia d’età tra 30 e 34 anni e con un abbandono universitario che si aggira attorno al 38%; il tasso di passaggio dalle scuole superiori alle università nei dieci anni tra il 2005 e il 2015 è calato di 24 punti percentuali (dal 73% al 49%); nello stesso periodo le immatricolazioni sono state 65mila in meno.
Pochi giorni fa sono stati pubblicati i dati relativi ad uno studio effettuato sul Liceo scientifico Leonardo da Vinci di Milano, condotto da autorevoli economisti e con la supervisione della Deloitte (la maggiore società di management consulting a livello mondiale): ebbene, un allievo della scuola pubblica statale costa, a chi paga le tasse,10mila euro annui, mentre ai 900mila alunni che frequentano la scuola paritaria lo Stato destina solo 500 euro pro capite.
I due autori spiegano così questo fenomeno: «Il danno recato dal monopolio statale dell’istruzione non è dissimile dal danno recato da ogni altra specie di monopolio (…). Il monopolio statale nella gestione dell’istruzione è negazione di libertà; è in contrasto con la giustizia sociale; devasta l’efficienza della scuola». La libertà di scelta viene meno, è evidente, ma è anche ingiusto socialmente perché «le famiglie che iscrivono il proprio figlio alla scuola non statale pagano due volte; la prima volta con le imposte – per un servizio di cui non usufruiscono – e una seconda volta con la retta».
Come uscirne?
Antiseri, al riguardo, cita Milton Friedman: «I governi potrebbero imporre un livello minimo di scolarità e assicurarne il funzionamento, concedendo ai genitori dei titoli di credito rimborsabili per una determinata somma massima annua per ciascun figlio qualora fosse spesa per servizi scolastici approvati. I genitori in tal caso sarebbero liberi di spendere questa somma, e ogni altra somma addizionale di tasca propria, per l’acquisto di servizi scolastici…». In realtà, niente che ai nostri politici non sia già stato suggerito. La proposta del costo standard di sostenibilità per allievo, (la “quota capitaria” spettante all’alunno e alle famiglie, che lo assegnano alla scuola prescelta), che è il cavallo di (veemente) battaglia di uno dei due autori del testo, Suor Anna Monia Alfieri, ha incontrato teorici consensi e ottenuto persino l’istituzione di una commissione di studio presso il Miur (attualmente in stand-by), ma per ora non si è andati oltre questo.
Occorre dirlo: alla classe politica, in generale, non interessa molto la libertà di educazione. I più non hanno neanche una sufficiente conoscenza dell’argomento e riservano poca attenzione al tema della scuola, considerata un settore che costa molto e non genera ricchezza immediata, nonostante alcune occasionali dichiarazioni sull’importanza di investire sui giovani e sulla cultura. Fra i pochi che si occupano di questo tema, tra l’altro, diversi sono proprio risolutamente contrari…
Il fatto è che gli eminenti personaggi citati prima, a differenza di molti dei nostri politici attuali, avevano conosciuto cosa significa non essere liberi. Avevano, taluni, pagato di persona le proprie scelte ideali, verificando sulla propria pelle cosa significa perdere la libertà. Altri, erano stati educati dalla tradizione e dalla fede cattolica al valore della libertà e, in particolare, della libertà di educazione. Per questo, la consideravano un bene non negoziabile. Oggi non è più così. Il concetto stesso di libertà è culturalmente mutato e in nome di una falsa libertà si negano diritti che sono scritti nella natura, nel cuore dell’uomo e nel DNA di ogni società davvero civile.
A chi detiene il potere, del resto, fa molto comodo che sia così, perché non c’è miglior prigioniero di quello che si illude di essere libero. Ci auguriamo che qualche politico di buon cuore – siamo sicuri che ne esistano ancora – apra questa “lettera”, la legga, si metta una mano sul cuore e, insieme ad altri, combatta la buona battaglia per la libertà. Quella vera, quella di tutti.
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