L'attrazione fatale per la giustizia sociale e la molla di una nuova rivoluzione globale
Dal Nuovo Corriere Nazionale del 19 aprile
È uscito in libreria in questi giorni il nuovo saggio di Paolo Savona – economista di fama internazionale (è il più importante economista monetario italiano) ed ex-ministro dell’industria nel governo Ciampi – intitolato “Dalla fine del laissez -faire alla fine della liberal-democrazia”, edito da Rubbettino. Un libro di grande interesse, che spiega con semplicità ed estremo rigore la crisi di questi anni e presenta la tesi di una nuova rivoluzione globale, che deve essere fatta dai giovani, che non deve essere combattuta in maniera cosiddetta ‘tradizionale’, e cioè nelle piazze, ma con la cultura e la scuola. Paolo Savona ritiene che siano i giovani la vera chiave di volta per trovare un nuovo equilibrio tra i tre pilastri della società moderna: democrazia, Stato e mercato. Proprio laddove manca un equilibrio “c’è crisi, e l’esempio più recente è la Grecia. In Europa oggi conta troppo il mercato, con le sue regole. E queste regole hanno condotto Atene all’attuale situazione di allarme e crisi profonda”.
Professor Savona, il suo libro fornisce da un lato le chiavi per comprendere da un lato gli squilibri tra i tre pilastri della società moderna (democrazia, Stato e mercato), dall’altro per mandare un appello ai giovani, riassumibile in ‘fate la rivoluzione’, anche se non nella piazze, ma con la politica e la cultura. Che cosa è successo, qual è il corto circuito che ha fatto esplodere tale crisi?
“È un processo che è maturato con il tempo ed ha il suo punto di svolta con la caduta del muro di Berlino che, facendo venire meno quello che veniva considerato dall’assetto capitalistico dello Stato il pericolo comunista, ha cambiato il modo d’agire del capitalismo: invece di recepire la lezione della storia, ossia che il popolo reclamava più giustizia sociale e un mercato che funzionasse, ha ripreso i suoi vecchi difetti di sfruttare e speculare. L’Europa vede il mercato come protagonista assoluto, lasciando che la democrazia assomigli molto a un simulacro dove il Parlamento non ha potere legislativo. Le Ue così come la conosciamo non può funzionare, perché gli Stati europei non vogliono l’unificazione politica, che sarebbe il salto di qualità necessario. Ecco perché le cose vanno male in Europa più che nel resto del mondo. Per cercare di invertire totalmente la rotta servono i giovani, che sono gli unici in grado di recepire questo mio appello alla rivoluzione, ma non quella che conosciamo, nelle piazze e nei movimenti di protesta, bensì in politica e nella cultura”.
Lei parla di Europa e dei suoi problemi e mai questi temi sono stati così attuali come oggi, che si discute sull’eventuale “Brexit” ed hanno un grande successo i cosiddetti politici euroscettici. Ma l’idea originale di Europa era un’altra, diversa da quella di oggi che è tutta unità fiscale ed economica. Eppure ancora oggi a Bruxelles ci dicono che bastano questi due punti di unificazione per avere tutto.
“Proprio questo è il problema, si è dato un peso eccessivo al mercato comune europeo, che a sua volta riceva gli stimoli dal mercato globale, e le sue regole non sono in equilibrio con la democrazia e gli Stati-nazione. E così si è creato il corto circuito. Questa crisi ha aperto la strada alla creazione di partiti che si dissociano dalle regole imposte dal mercato globale, tentando di dare nuova linfa vitale allo Stato”.
In Italia ormai da alcuni anni c’è una gran voglia di riforme ed ogni governo ha approvato le sue, a partire dalle lenzuolate di Bersani per passare ai decreti di Brunetta ed arrivare al cosiddetto ‘sblocca Italia’ di Renzi. Ma questa frenesia riformista fa bene alla democrazia?
“Penso che l’evoluzione mondiale richieda un continuo cambiamento delle istituzioni, quindi il riformismo di per sé è positivo; ma una cosa è il riformismo che mira a correggere e trovare regole migliori per il funzionamento dello Stato, un’altra è riformare come si è fatto fino ad oggi in Europa, incidendo sul mercato del lavoro, attenuando i diritti e la forza dei lavoratori, senza però avere la stessa incisività nella regolamentazione del mercato finanziario e dei poteri della burocrazia, fino ad arrivare al caso Grecia. Certo, in questo Paese e in altri la politica ha fatto i suoi errori, esponendo questi Paesi ad attacchi speculativi, con tutte le conseguenze che noi conosciamo. Lo Stato deve essere in grado di controllare e non di subire tali processi. La crisi non è una novità, ma è nella storia dell’uomo; basti pensare che ne abbiamo testimonianza scritta già ai tempi di Hammurabi più di 4 mila anni fa. Oggi, come allora, una crisi si risolve solo se lo Stato riesce a gestire e a controllare ogni processo. E’ questo il vero nodo di governo in questi anni. Lo Stato ha perso il controllo della società, non solo dell’economia, e il sistema delle libertà ne ha patito”.
Ma controllare i mercati è difficile, anzi qualcuno dice addirittura quasi impossibile.
“Controllare i mercati finanziari è difficile perché fuggono verso dove ci sono poche regole e protezioni fiscali, trovando allo stesso tempo tante possibilità di crescere. Abbiamo molti esempi. Se un Paese non rispetta le regole del mercato globale, la finanza è pronta a sfruttare quest’occasione. Il discorso non vale per la produzione reale, perché il bene fisico è impossibile da muovere come la finanza. I derivati, che sono stati all’origine della crisi finanziaria globale, sono un chiaro esempio di come sfuggire alle regole senza violarle, perché gli Stati non li hanno voluti regolamentare”.
Ma torniamo al suo libro. William Beveridge, uno dei padri del welfare, teorizzò l’accompagnamento dell’uomo dalla culla alla tomba. Lei sostiene che oggi è necessario tornare dalla tomba alla culla, può spiegarci cosa intende?
“Quando è nata la necessità di un welfare, si partiva da condizioni di una totale mancanza di tutela del lavoratore e del cittadino e si è pensato di creare una legislazione sociale che, anche e soprattutto con l’intervento pubblico, tutelasse l’individuo in ogni passaggio fondamentale della sua vita, garantendolo appunto dalla culla alla tomba. Inizialmente si pensava di garantire solo i cittadini più deboli, ma presto si è esagerato puntando all’assistenza per tutti, senza pensare che le risorse disponibili non erano infinite. Oggi è necessario ripensare il welfare tenendo conto dei vincoli che la società moderna ha in sé e delle risorse disponibili. Oggi lo Stato opera come un padre di famiglia che, per mantenere un certo tenore di vita, spende più di quanto guadagna, cioè si indebita; prima o poi dovrà rispondere del suo comportamento. Non di rado la famiglia si sfascia. Ci siamo vicini”.
Dia una definizione di liberismo.
“Prima di tutto dobbiamo definire il liberalismo, una filosofia sociale al cui vertice troviamo le quattro libertà: diritto alla vita, al libero pensiero, alla proprietà e all’uguaglianza sociale. Il liberismo è una corrente di pensiero politico che assegna maggiore peso alla conduzione razionale dell’economia rispetto alle altre libertà e che, nelle manifestazioni estreme, ha preso il nome di laissez- faire. Sono entrambi correnti liberali, ma il lasciar fare danneggia i cittadini più deboli”.
Lei preconizza la fine della liberal-democrazia. E dopo?
“Questo è il nocciolo del problema. Ci siamo dedicati all’economia e al benessere, raggiungendo lusinghieri successi. Ora sono subentrati due grandi eventi. Il primo è lo sviluppo della finanza, che è ricchezza inconsistente perché puramente contabile. Ossia è tale se la gente la ritiene tale. Una pura convenzione. Il secondo è l’innovazione tecnologia; con la robotica le fabbriche possono fare a meno dell’uomo, quindi bisogna trovare un’organizzazione sociale che permetta a tutti di operare e vivere, e controlli questi due fenomeni. Per la finanza si possono trovare vincoli e limiti, ma per le innovazioni tecnologiche non c’è nulla da fare, il loro progresso è inarrestabile. Perciò bisogna trovare il modo di utilizzare l’uomo in altri modi, impegnandolo nella scuola, nella formazione, nella cultura e negli altri servizi sociali. L’uso dell’uomo a fini produttivi è già decrescente con crescenti difficoltà per mantenere il suo benessere. Il problema maggiore in questa fase di transizione riguarda i giovani. Oggi la politica ancora parla di Pil (prodotto interno lordo, ndr), di occupazione e di assistenza sociale. Tutti termini esatti, ma che fanno parte di un linguaggio obsoleto rispetto ai due grandi mutamenti sociali. La politica si deve dunque innovare e adeguarsi ai ritmi dei tempi”
Dunque assistiamo a una crisi del sistema perché c’è una politica debole?
“Oggi la politica non sa interpretare i bisogni della democrazia e quelli del mercato e questo fa perdere prestigio allo Stato, con una conseguente perdita di equilibro dei tre pilastri fondamentali del sistema delle libertà. La mia tesi non è quella prevalente in letteratura e in politica, ossia che vi è incompatibilità tra mercato e democrazia e tra questa e lo Stato. Occorre ricercare un equilibrio tra le tre istituzioni di base. Con estrema facilità gli Stati vanno alla ricerca di un finto equilibrio sacrificando uno dei pilastri. L’Europa privilegia il mercato e la Cina lo Stato, ma entrambi sacrificano la democrazia. Gli Stati Uniti oscillano tra mercato e Stato, ma presentano più democrazia rispetto al resto dei Paesi sviluppati. A questo proposito amo citare l’est modus in rebus di Orazio o il punto critico di Einaudi per far comprendere, appunto, come sia la stabilità il punto di equilibrio da ricercare”.
Lei parla molto dei giovani, rivolga loro un appello che li orienti su cosa fare.
“Il futuro è nelle vostre mani. Solo voi potete cambiare le cose facendo la rivoluzione, ma non scendendo in piazza o sostenendo quei movimenti che non danno risposte concrete. Dovete fare la rivoluzione utilizzando un’arma fondamentale e invincibile come lo studio e la conoscenza. Solo studiando il funzionamento della democrazia, dello Stato e del mercato riuscirete a trovare le basi per dare vita a una nuova rivoluzione globale, che porti a una giustizia sociale vera e sostenibile.
di Alessandro Li Donni
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