Saviano sul nuovo libro di Vito Teti “Terra Inquieta”

del 27 Agosto 2015

Da RobertoSaviano.com

C’è sempre un carico di sofferenza da affrontare nel viaggio se il luogo da attraversare è il Sud. Che sia un viaggiare al Sud, per il Sud o lontano dal Sud, il fardello non manca mai. È un’impronta che quei luoghi si portano appresso e che giunge da lontano, dalla storia, dalla geografia, dalla morfologia della terra e delle persone che la vivono. Ma è una sofferenza che non incute paura, semmai voglia di capire, approfondire per studiarne l’origine, la trasmissione e i tanti modi per affrontarla e convertirla in ricchezza.
Lo scrittore Vito Teti ci regala un’ennesima profonda lettura di questi temi, in chiave letteraria ed antropologica, nel suo ultimo libro pubblicato da Rubbettino “Terra inquieta – Per un’antropologia dell’erranza meridionale”.
Ogni libro di Vito Teti è una benedizione. Il suo racconto del Sud, dell’erranza meridionale, è fatto attraverso racconti antropologici: uomini che emigrano sperando nella fortuna americana, donne che ascoltano in sogno San Giorgio che consiglia come scannare il drago. Anche questo è un libro letterario bellissimo come tutta la produzione di Teti.
Spiega nella prefazione l’autore che “la parola «erramo», che ascoltavo ancora da bambino e che ritorna nelle parlate e nelle tradizioni orali, dal greco éremos (deserto, solitario, privo di tutto) indica l’errante, il profugo, il ramingo, la persona abbandonata e priva di tutto”.
Lo sfondo del viaggio è la Calabria, la regione priva di tutto, della stabilità della sua terra franosa, della perseveranza della politica quasi sempre parassita e inadeguata, della stanzialità delle sue genti, costrette ad essere raminghe, “mobili e precarie” sempre nei secoli andati come tuttora.
La predisposizione al viaggio viene riscoperta nella cultura tradizionale calabrese, nell’abitudine a spostarsi per seguire i cicli naturali della campagna o per i pellegrinaggi religiosi da un paese all’altro.
Dall’Ottocento in poi il viaggio è diventato emigrazione ed ha portato con sé il fenomeno della duplicazione delle origini. È nella memoria e nella ricerca delle proprie radici altrove che si consumano i momenti di maggiore felicità per il migrante, momenti intrecciati indelebilmente con la nostalgia. Sono le pagine più allegre di questo viaggio, dove si parla del cibo, della cucina come vicinanza e solidarietà. Nei racconti di Corrado Alvaro, ampiamente citati da Teti, il cibo rende possibile il legame con la propria terra, soprattutto nei figli degli emigrati che di quella terra hanno solo sentito parlare. È così che si inventa la nostalgia.
Nella sua ricerca errante, dopo aver ricordato la natura debole della geologia calabrese, Teti rimarca e denuncia il lato antropico della devastazione: “il paesaggio è stato sconvolto da case incompiute, costruzioni mai utilizzate, depuratori mai aperti, ponti e bretelle di cemento inutili, palazzi e capannoni mai usati. Una mescolanza di incuria, ruberie, interessi illegali che ha visto complici e collusi, in vario modo, criminalità organizzata e ceti politici, dirigenti e funzionari dello Stato e degli enti pubblici locali, amministratori e sindaci, imprenditori e costruttori, tecnici e professionisti. L’elenco di queste macerie incompiute sarebbe davvero lungo”.
Ci vogliono grandi catastrofi naturali o indotte dall’uomo perché la Calabria, come il Sud intero, siano scoperti e raggiunti dal resto del mondo. Ne è testimone la fotografia di Wim Wenders, il forestiero che scoprì la Calabria e la raccontò con il suo filtro ottico artificiale, di un realismo inarrivabile all’occhio umano. Il libro va letto anche per questo, per il suo ricco accompagnarsi di testi e fotografie, che ne fanno un’opera utile, appagante, imperdibile.

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