Riportate nelle scuole calabresi Saverio Strati, se ancora non è stato fatto, ché questo scrittore viene ricordato solo in certi momenti, quando magari bisogna fare un po’ di retorica culturale che rende più affascinante il non detto. Date ai giovani la possibilità di riscoprire le loro radici, soprattutto letterarie, perché non esiste solo l’enogastronomia della nonna.
Tibi e Tàscia, pubblicato da Rubbettino editore, racconta di un tempo che non c’è più, quando la povertà era di casa, quando un contadino nasceva e moriva contadino, quando l’emancipazione era per pochi eletti, quando i figli dei poveri sognavano intensamente per sedare i morsi della fame. Eppure, non sono così convinto che tutto sia cambiato in meglio, perché la Calabria di Tibi e Tàscia non è poi diversa da quella di oggi. È sempre abitata da tanti disgraziati che tirano a campare e nonostante la loro voglia di sognare, devono fare i conti con la famelicità degli amorali.
Sono parole semplici quelle usate da Strati. Il suo raccontare è un discorso che fila liscio, ma quando entri nei suoi romanzi capisci che la complessità sta in quel perché che ti poni davanti all’ingiustizia. E quando finisci di leggere questo libro ti domandi ancora una volta perché c’è chi si salva e chi perisce?
Il romanzo è ambientato negli anni Trenta del secolo scorso. Tibi-Tiberio è un bambino che ama riflettere, che si lascia stupire dal mondo. Sogna a occhi aperti, si pone domande più grandi di lui. Più della Terza elementare non ha potuto frequentare, eppure in lui c’è la voglia di sapere. Invidia chi possiede tanti libri e vorrebbe anche lui imparare tante cose. Se facesse il pastore, potrebbe starsene solo soletto a leggere mentre le bestie pascolano. Tàscia-Teresa è una bambina iraconda. Una piccola donna con il cuore da brigante che odia le ingiustizie. Si difende dagli altri usando le mani e lanciando pietre. In lei c’è la ribellione che agita i cuori di chi ha tanto subito. Tibi e Tàscia stanno sempre insieme. Lei è affascinata da lui e viceversa. Davanti alla povertà e all’ingiustizia ognuno reagisce con i propri mezzi, ossia con il sogno e la rabbia. La speranza però li unisce. E poi, cosa cambia? Potremmo dire che anche in questa storia c’è chi accetta un compromesso e chi accetta il proprio destino. Eppure, nessuno vince e nessuno perde. Forse doveva andare così?
Cosa aggiunge Strati a ciò che hanno già scritto i suoi contemporanei? Di sicuro in lui trovano casa il magico e il reale. Soprattutto, non c’è un pregiudizio che guida il racconto, ma vince la necessità di testimoniare. Siamo spettatori-lettori degli eventi. La povertà dei contadini non è trattata dallo scrittore calabrese come requisito per suscitare in noi indignazione, essa è un dato di fatto, una realtà innegabile.
Rileggere questo autore, dunque, porta a porsi una domanda importantissima: cos’è cambiato? E non è poco di questi tempi!
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