Ci vuole coraggio oggi in Sardegna a guardare in faccia la realtà e Antonietta Mazzette e Sara Spanu ne hanno avuto indubbiamente tanto anche solo nel titolare il loro libro, appena edito da Rubbettino, “Sassari, tra declino e un futuro possibile”. È infatti la parola declino a fare da filo conduttore agli otto saggi contenuti in una pubblicazione tanto agile (138 pagine, 14 euro) quanto ricca di analisi e spunti, e che tutti coloro che in Sardegna sono classe politica e dirigente o anche solo hanno voglia di impegnarsi per il futuro dell’isola dovrebbero leggere.
Il libro è importante per diversi motivi. Intanto perché ragiona sul declino della seconda città della Sardegna risparmiandoci due argomenti fuorvianti ma spesso utilizzati quando si parla di Sassari, ovvero l’isteria anticagliaritana che troppo spesso viene scatenata dalle classi dirigenti del Capo di Sopra per occultare le loro responsabilità, e tutta la retorica della “Città dei due Presidenti”, con l’indigeribile contorno di passata grandeur che rende ai sassaresi frustrante ogni confronto con il presente.
Ma il libro è importante soprattutto perché riporta al centro del dibattito il tema della città e dell’urbano in Sardegna, argomento colpevolmente marginalizzato da un confronto (legittimo ma parziale) che si è concentrato solo sul futuro dei nostri paesi.
In realtà, come ha insegnato l’architetto e urbanista Giancarlo De Carlo nelle sue lezioni (oggi meritoriamente riprese da Quodlibet nel volume “La città e il territorio”), “le città sono rimaste senza contesto, e quindi in balia delle forze incontrastate che ne generano la loro espansione. E lo stesso è accaduto nei territori, che hanno cominciato a decadere quando hanno perso la capacità di ricondurre a proprio vantaggio le esperienze che si compivano nelle città, e di assorbirle in modo coerente”.
Una identica dinamica ha travolto Sassari, quinta città in Italia per estensione (ben 547 km quadrati, pensate che Cagliari si ferma a 85!) e che, come spiegano proprio Mazzette e Daniele Pulino nel capitolo “Una città su un piano inclinato”, se da una parte ha perso quasi ogni rapporto con il suo territorio, dall’altra su questo territorio mantiene chiaramente una competenza amministrativa che necessita di attenzioni e risorse. Sassari si è così sdraiata e dispersa, volendo tradurre in italiano i termini tecnici di “urban sprawl” e “urban sprinkling”, ripresi nel suo saggio da Giovanni Meloni.
Senza avere capito bene cosa fare del proprio territorio e della propria “città compatta”, Sassari ha dunque costruito alle sue porte una sorta di “anti-città”. Nella zona industriale di Predda Niedda, diventata di fatto zona commerciale, si è concentrata in maniera massiva la grande distribuzione (che a Sassari ha conquistato ben 172 metri quadri per mille abitanti, contro i 121 di Cagliari).
Questo mostro urbanistico ha tolto senso e funzioni al centro storico già gravemente abbandonato, aggravando una crisi dalla quale si può uscire (come sottolinea sempre Meloni ma anche Sandro Roggio nel suo saggio sulla forma della città) solo bloccando immediatamente il consumo di suolo.
Ma Sassari deve anche guardare al futuro ed è la stessa Mazzette a fissare le priorità. La più importante è a mio avviso quella di “restituire all’agricoltura i territori in disuso e bonificare quelli compromessi, innescando un processo finalizzato alla produzione e distribuzione di beni primari a chilometro zero”. Sarebbe un ritorno al territorio d’esempio per tutta l’isola, verso quel nuovo modello di sviluppo sostenibile che anche Mazzette auspica.
Ma per Sassari sarebbe anche una rivoluzione epocale: perché in questo modo tornerebbe a mio avviso ad essere una città sarda e non più una città italiana (la più italiana tra quelle presenti nell’isola, peraltro).
Il declino di Sassari si spiega a mio avviso anche con il tramonto del suo ruolo di mediatrice degli interessi italiani in Sardegna, interpretato per decenni da una classe politica di destra e di sinistra che ha occupato i più importanti posti di responsabilità dello Stato italiano.
La Grande Mediatrice ora però non ha più niente da mediare e a certificarlo è anche il declino del suo quotidiano, La Nuova Sardegna, analizzato nel saggio del giornalista Costantino Cossu dal titolo “I legami controversi”.
Un’interessante ricostruzione storica in cui spicca, per il nostro ragionamento, la lunga teoria di direttori continentali che dal 1974 ad oggi sono stati chiamati a dirigere la testata. In poco mezzo secolo mai un sardo, neanche uno, prova tangibile della scelta operata dal giornale di essere la voce di politiche neocoloniali (che differenza c’è tra la petrolchimica di Rovelli e il metano così tanto sponsorizzato dalla Nuova oggi?) su cui le classi dirigenti sassaresi hanno sempre cercato di lucrare.
Quel periodo storico è passato e nulla si intravvede all’orizzonte, ed ecco allora il senso di declino che pervade la città, alla ricerca di un ruolo nuovo. Essersi immaginata città-stato forte dei suoi rapporti privilegiati con la politica italiana non è servito a molto, e anzi oggi Sassari, incapace di stringere alleanze con il suo territorio, soffre più di tutti il crescente protagonismo di Olbia e la vicinanza di Alghero.
E a nulla serve aggrapparsi ai tempi d’oro che furono, perché anche la produzione culturale, come evidenziato nei saggi del regista e attore Sante Maurizi sullo spettacolo dal vivo (interessantissimo, con spunti e considerazioni che valgono per tutta l’isola) e dalla sociologa Sara Spanu sull’attività delle corali in città, mostra sì segni di vivacità ma soprattutto un’assenza “di governance di questi fenomeni con le articolazioni tecnico-politiche dello Stato che nemmeno si pongono il tema dei possibili percorsi di accompagnamento al mutamento”.
Invece il tempo passa, la crisi si aggrava e alla città, nel tentativo di rinsaldare i rapporti con l’Italia, da cui le classi dirigenti locali hanno sempre tratto il loro potere, sembra non restare altro che affidarsi simbolicamente alla Brigata Sassari. È lei che secondo me, tramontata la stagione della petrolchimica e dei sassaresi ai vertici dello Stato italiano, ora si propone come continuatrice di una tradizione di mediazione della città con interessi eteronomi. Ma trasformare Sassari in una caserma non servirà.
Ecco perché, anche in onore di Salvatore Mannuzzu, il libro potrebbe anche essere letto come un giallo: chi ha reso Sassari agonizzante? Chi ne ha determinato un declino così vistoso?
Il libro per brevità non tratta il ruolo delle classi dirigenti cittadine, ma i nomi che hanno fatto la storia di Sassari nel novecento li conosciamo bene: Antonio Segni, Francesco Cossiga, Enrico Berlinguer, Arturo Parisi, Beppe Pisanu, Gavino Angius, Mario Segni, Pietro Soddu, Luigi Manconi. Cos’hanno lasciato personaggi politici così eminenti in eredità alla loro città? Quale intuizione? Quale classe dirigente?
E ancora: qual è stato il ruolo dell’Università nel governo della città? E quello del sistema bancario che a Sassari è stato (ed è ancora) forte e potente?
Finché Sassari non avrà il coraggio di rispondere a queste e alle domande poste dal libro avrà l’illusione di poter comunque governare il declino che invece rischia di andare fuori controllo. Ma il dibattito sembra stagnare. La stessa Nuova Sardegna, che nelle sue pagine culturali ha pubblicato quasi venti giorni fa una parte dell’introduzione al libro, ora si guarda bene dallo stimolare un dibattito franco e aperto.
Dibattito che servirebbe anche a Cagliari, la cui profonda crisi (demografica, sociale e culturale) è solo mascherata dalle debolezze altrui. La città ha bisogno urgentemente di una bussola da seguire. Lo ha scritto Maria Antonietta Mongiu recentemente: “Chi sono oggi a Cagliari e in Sardegna gli intellettuali collettivi e dove i loro luoghi?”.
Questa domanda non può restare inevasa troppo a lungo. E forse Cagliari e Sassari, iniziando a confrontarsi e a dialogare assieme sul senso dell’urbano in Sardegna (molto più antico e molto più presente di quanto non si creda) potrebbero trovare una via di uscita alle loro crisi e, in parte, anche a quella che attanaglia l’isola.
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