Da Il Foglio dell’11 marzo
La generazione Tuareg – quella costretta al “nomadismo” occupazionale – ha visto peggiorare le sue condizioni nel corso della crisi. L’autore di questa formula Francesco Delzio, manager e responsabile relazione esterne di grandi aziende (Piaggio, Autostrade), studioso dell’inclusione giovanile da quando era direttore degli juniores di Confindustria, ha calcolato nel suo ultimo saggio “Opzione zero” (Rubettino) che “in Italia ci sono ormai cinque milioni tra gli under 40 che non avrebbero motivo la mattina di alzarsi dal letto: disoccupati, inoccupati, neet. Ma a tutti loro il Jobs Act potrebbe dare una risposta”. Cioè un lavoro. Gli indicatori economici sono contraddittori sulla ripresa. La produzione industriale ha avuto una nuova frenata a gennaio (meno 0,7 per cento), raffreddando gli entusiasmi dei mesi passati. Le esportazioni crescono, ma le aziende che guardano all’estero no. Gli indici di fiducia schizzano in alto, ma i consumi no. Delzio preferisce guardare “all’abbassamento dell’euro e al progressivo superamento del credit crunch. Inoltre, al di là delle tendenze, credo in un’inversione perché il governo è tornato a scommettere sul lavoro. Le opportunità di assunzione sono legate al ciclo economico, però nel 1996 con il pacchetto Treu abbiamo costruito i co.co.co. che erano molto più vantaggiosi per le imprese dal punto di vista fiscale e contributivo. Ora il Jobs Act riequilibra questa flessibilità e rende il contratto a tutele crescenti più conveniente”. Secondo il governo, il Jobs Act porterà alla creazione di 800 mila nuovi contratti a tutele crescenti e fino a 150 mila posti di lavoro in più. Delzio non dà numeri. “Mi aspetto un picco degli occupati nei prossimi quattro o cinque mesi. E, ancora prima, chi ha contratti precari nelle aziende vedrà aumentare le sue chance di un’assunzione stabile. Per la prima volta nella storia italiana ci sono tre segnali convergenti per chi cerca lavoro e per chi deve assumere: la deducibilità dell’Irap, la decontribuzione per tre anni, la nuova normativa sui licenziamenti e sulla cosiddetta flessibilità in uscita. Tutte assieme, queste misure, non erano mai state prese”. Tra le novità c’è soprattutto la rottamazione dell’articolo 18. “La riformulazione delle regole sul reintegro è soprattutto un incentivo di natura psicologica, visto che ormai l’articolo 18 era diventato un feticcio. E non solo in Italia. Personalmente credo che sia un buon compromesso tra le esigenze di maggiore flessibilità, senza disboscare in maniera terroristica le tutele esistenti”. Vallo a dire a chi, mantenendo le vecchie regole, di fatto non rischierà il licenziamento. “C’è una sperequazione, ma mi sembra che s’introduca un po’ di equità, e si restituiscono tutele, alla generazione Tuareg visto che si assumono con il contratto a tutele crescenti i ventenni come i quarantenni. Casomai, mi preoccupa il rischio che questa dicotomia limiterà la mobilità tra un lavoro e un altro. Oppure che il governo abbia limitato la decontribuzione alle assunzioni effettuate entro il 31 dicembre del 2015. Parliamo di 8.600 euro l’anno. Questa norma va rifinanziata anche per i prossimi anni perché può supportare il ciclo economico positivo”. Accanto all’alleggerimento delle norme, l’altra parte del Jobs Act è il tentativo di introdurre un modello di ammortizzatori sociali simile a quello scandinavo. Si prova a introdurre la filosofia che è stata decisiva nella flexicurity o nel pacchetto tedesco Hartz IV: ha il sussidio chi cerca un lavoro o segue un corso di formazione. Delzio si augura che “anche in Italia funzioni quello che già funziona all’estero. Finora Youth Guarantee ha fallito. E’ stato scritto nelle stanze di Bruxelles, dove non sanno che qui non si può creare lavoro affidando quasi un miliardo e mezzo agli intermediari. Qui i centri per l’impiego pubblici non funzionano perché le regioni non sanno gestire i loro poteri in materia di lavoro”.
di Francesco Pacifico
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