Igienizzare il termine morte, illudendosi di rimandarla il più lontano possibile.
Ho letto con trasporto questo testo di Ivan Rizzi, docente e presidente dell’Istituto di Alti Studi Strategici Politici (IASSP), assieme a Francesco Cetta, docente di Medicina al San Raffaele di Milano, pubblicato con Rubettino.
“Abbiamo quasi il pudore – scrive Rizzi – di pronunciare il nome di alcune patologie, così la morte dispone di divaganti quanto penose litoti – figure retoriche – come scomparsa, perdita, trapasso, dipartita“.
L’evoluzione e l’affermarsi della tecnica, pare che voglia lenire la durezza del dolore, della sofferenza, della morte. “A essa – ovvero alla tecnica – e non al Dio della compassione si chiede di salvarci – evidenzia l’Autore, dove – gli ex voto del nostro tempo sono l’idolatria conclamata che i devoti digitali le riservano“.
Il testo è suddiviso in 2 parti e 14 capitoli:
Prima parte:
1. Umanizzare il dolore
2. La grande opportunità per le assicurazioni e per gli investimenti finanziari
3. Rimanere vivi! Riaccendere sentimenti e desideri
4. Il potenziamento cognitivo e percettivo
5. Data alla tecnica ciò che è della tecnica e allo spirito ciò che è dello spirito
6. Exitus o morte
Seconda parte:
7. Malattia, dolore, sofferenza e angoscia
8. Fenomenologia del dolore
9. Sofferenza e coscienza
10. Malattia, sofferenza, arte e creatività
11. Patogenesi e fisiopatologia del dolore
12. Le vie del dolore
13. Dolore e malattia, ansia e sofferenza. Come si intrecciano per generare l’angoscia
14. Considerazioni conclusive
“La riluttanza ad avvicinarsi al discorso della sofferenza e del morire – sottolinea Rizzi – è l’eco dell’apprensione di sé che non sa e non vuole guardare verso la condizione più certa della vita“.
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