Si chiede Goffredo Fofi, uno dei più importanti, se non il più importante, critico letterario italiano, parlando di “Tibi e Tàscia”romanzo di Saverio Strati:C’è forse un altro romanzo italiano così fitto di dialoghi, così impastato di un presente diretto, di concreta quotidianità, di infantile (e dunque assoluta) verità?”. La sua risposta è no; che non c’è un altro romanzo con le qualità letterarie del “Tibi e Tàscia”, da considerare (secondo Fofi) “uno dei più significativi romanzi del nostro Novecento e, credo, della letteratura, che ha raccontato il mondo com’era, in particolare il mondo contadino”. Fofi, con le sue parole, chiare, col suo giudizio assoluto, insindacabile, fa giustizia sull’oblio caduto intorno allo scrittore di Santagata del Bianco, scomparso a Scandicci (Firenze) nel 2014 e che nel 1977 vinse il Premio Campiello con il romanzo “Il selvaggio di Santa Venere”. Un decennio dopo quel premio assegnato da una giuria presieduta da Piero Chiara, e dopo altri due romanzi pubblicati sempre con Mondadori, gradualmente, si spensero le luci della ribalta per Saverio Strati. Un oscuramento editoriale ancora oggi incomprensibile e comunque nefasto spartiacque tra vecchia editoria e linee editoriali nuove che cominciarono, in quel periodo, a seguire i grandi editori, puntando su autori interessanti mediaticamente. Con un’operazione culturale esemplare, coraggiosa, Saverio Strati ora è tornato, trent’anni dopo l’uscita del suo ultimo romanzo “L’uomo in fondo al pozzo”, proprio con la ripubblicazione di “ Tibi e Tàscia”, il romanzo pubblicato in prima edizione nel 1959 con Mondadori. E’ tornato ripubblicato dall’editore Rubbettino di Soveria Mannelli e con il libro che, come diceva lui stesso, “ mi ha dato più soddisfazione e gioia, nella vita di scrittore”. E’ come un risorgere della letteratura calabrese, anch’essa negata, come tante cose di questa regione. “È necessario – dice l’editore Florindo Rubbettino – che la cultura italiana riscopra Saverio Strati al di là dei proclami e della retorica, e lo si può fare in un solo modo: leggendo le sue opere. Per questa ragione abbiamo deciso di ripubblicare tutti i suoi libri, in maniera non convenzionale, affidando i testi introduttivi a intellettuali, giornalisti e scrittori contemporanei”. E Fofi, il primo della serie dei nuovi prefatori di Strati, ha esordito col botto: “ Tibi e Tàscia – scrive – è il libro che tutti dovrebbero conoscere, soprattutto i giovani meridionali di oggi, per sapere di dove vengono e quel che devono a chi è venuto prima di loro”. “A dire il vero – dice ancora Florindo Rubbettino – avevamo intenzione di ripubblicare le opere di Strati quando ancora lo scrittore era in vita, ma la situazione dei diritti non era ben definita e il maestro non era ancora rientrato in possesso di molte delle sue opere più importanti. Dispiace, a me per primo, che Strati, che negli ultimi anni si sentiva tradito dalla sua stessa terra, non possa vedere la nascita di quest’opera. La ripubblicazione, da noi fortemente voluta, con l’acquisizione dei diritti di tutti i testi, editi e inediti, è stata possibile per la disponibilità del figlio dello scrittore, Giampaolo, anche grazie all’intermediazione preziosa di Palma Comandè, nipote dello scrittore e profonda conoscitrice dell’opera letteraria di Strati”. Dunque, Strati ritorna, con un piano editoriale che prevede due appuntamenti ogni anno. Tra i prossimi libri a tagliare il traguardo “La Teda”, “Il Selvaggio di Santa Venere”; e un inedito: “Tutta una vita”. Posto, ormai, Corrado Alvaro nella giusta dimensione della classicità, Strati rimane il più “grande narratore” calabrese della seconda metà del Novecento; un autentico fuoriclasse della letteratura italiana; Il narratore dalla storia umana e letteraria esemplare. Abbandonati gli studi subito dopo la scuola elementare per fare il muratore, Saverio Strati poté proseguirli solo dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Suo nume tutelare fu il critico Giacomo Debenedetti, che Strati conobbe durante gli studi universitari a Messina. Sarà lo stesso Debenedetti poi a presentare Strati a Mondadori, che pubblicò nel 1956 il suo primo libro, la raccolta di racconti “La Marchesina”. Tutti i libri di Strati hanno sempre avuto come tema la Calabria e i calabresi e lui, con i suoi libri, come sosteneva il critico letterario Gianni Carteri, “fa uscire la Calabria dal secolare stato di assedio”. Molti, quasi tutti, i romanzi di Strati, sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco, bulgaro, slovacco, spagnolo e racconti e novelle sono apparse in riviste di letteratura cinesi e in antologie letterarie di vari paesi tra cui Germania, in Olanda, in Cecoslovacchia e Cina. Come riconosceva Geno Pampaloni, che curò il primo Tibi e Tàscia mondadoriano, e scrisse l’introduzione, “con grande vigore narrativo Strati è riuscito a porsi sulla frontiera inquietante tra il mondo moderno ingiusto ma necessario e il vecchio mondo del sud, remoto e struggente nella sua sfortunata saggezza”. Ma, com’era Saverio Strati, scrittore, uomo, meridionale, calabrese? Geno Pampaloni lo descriveva così: “Sembra portare sulla propria persona la vita dei padri. Il passato, soprattutto, il dolore del passato, la tradizione della sua terra, i secoli di miseria e di silenzio, la pazienza contadina e artigiana, il pudore dei sentimenti, e persino l’antica lentezza, con cui il tempo trascorre nei vecchi paesi, sembra portarseli addosso, come una consanguinea presenza, una compagnia”. Lui, invece, si giudicava in questo modo: “Sono uno che vive la vita che vuole vivere. Sono un uomo libero, non mi sono fatto schiavizzare da mondanità, presenzialismo o da relazioni di cui si pensa non si possa fare a meno per avere successo, oppure attrarre dalla pubblicità. Vivo, come ho scelto di vivere, quindi mi sento soddisfatto”. Il suo ritorno farà bene alla Calabria che crede nella cultura.
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