Da Il Sole 24 Ore del 17 maggio
Chi ha ucciso la Questione Meridionale? Come ha fatto l’assassino a nasconderne il corpo per tanto tempo? Dove possiamo rintracciare complici e fiancheggiatori? A queste domande risponde Mariano D’Antonio, già docente di economia nelle Università di Napoli e Roma con varie esperienze amministrative (è stato anche consigliere della vecchia Cassa del Mezzogiorno), con una ricerca fresca di stampa per Rubbettino.
D’accordo con tutti gli autori del saggio -in ordine di comparizione: Matteo Marini, Sonia Scognamiglio, Annalisia Marini, Antonio Russo, Lucia Cavola, Achille Flora, Giovanni Laino, Francesco Pastore, Sara Gaudino, Giuseppe Leonello, Roberto Celentano – il principale sospettato, il maggiordomo dei gialli migliori, è individuato negli stessi meridionali. Meglio, nella loro scarsa attitudine a rispettare le regole. Meglio ancora, nella slealtà dominante dei loro comportamenti.
Dunque, se esiste un giudizio negativo, a volte venato di razzismo, di pezzi del Nord – operoso o meno – nei confronti dei cugini del Sud questo è giustificato dal loro modo d’intendere la vita e le relazioni. Un modo condizionato dalla scarsa fiducia reciproca che genera sospetto e invidia sociale con il risultato di esaltare quel familismo amorale già messo in luce dal politologo americano Edward Banfield più di cinquant’anni fa e del quale non ci si riesce a liberare.
Da qui la nascita di una relazione perversa, di un circolo vizioso, che condanna il Sud alla sua arretratezza. «Lo scarso senso civico – scrive D’Antonio – è effetto e al tempo stesso concausa dell’insufficiente sviluppo: la povertà spinge a violare le regole, l’illegalità a sua volta ostacola la riduzione della povertà». Non c’è spazio per i «soliti piagnistei», nell’analisi proposta dall’economista, ma l’invito a un mea culpa generale e incondizionato.
Non si tratta di condannare le tesi di chi misura la distanza in termini d’investimenti e ricchezza tra le due Italie, un lavoro svolto dalla Svimez con rigore e puntualità, ma di fornire un contributo alla lettura di quel fenomeno e suggerire una possibile soluzione. Che deve necessariamente passare per una nuova legittimazione dei ceti dominanti ai quali si chiede di saper meritare l’attenzione e la considerazione che pretendono modificando cultura e atteggiamento.
Intervistato dal vice direttore del Mattino, Federico Monga, sulla qualità del personale messo in campo per le prossime elezioni regionali, il presidente dell’Anticorruzione, Raffaele Cantone, non fa altro che ribadire: «Il Sud – a domanda risponde- ha bisogno di una nuova classe dirigente».
«Questo è un tema – specifica l’alto magistrato – che deve essere centrale e senza divisioni politiche». Insomma, i meridionali più avveduti si stanno accorgendo della propria tara.
Quali sono gli indizi che richiamano un giudizio così severo? D’Antonio ne individua diversi. E li sottopone all’opinione pubblica perché ne prenda atto. In particolare, l’autore si concentra su quattro punti: l’evasione fiscale e contributiva, l’assenteismo per malattia, l’inflazione dei diplomi e delle lauree, il mancato pagamento delle tariffe del trasporto pubblico locale. In tutti questi casi il Mezzogiorno marca abitudini che viene facile definire di «opportunismo sociale».
E non basta; perché la convinzione allargata che solo forzando il sistema sia possibile ottenere la soddisfazione dei propri diritti o comunque delle proprie richieste, fondate o meno che siano, conduce a costruire un rapporto con la pubblica amministrazione malato e pertanto inefficiente. Con il risultato di mettere a repentaglio anche le molte iniziative buone e meritorie che le forze sane del territorio continuano a proporre nonostante l’ostilità dell’ambiente.
Solo qualche dato per rendere l’idea. Nel 2014, secondo i numeri forniti dal procuratore generale della Corte dei conti, i reati denunciati nelle regioni meridionali contro la cosa pubblica superano di molto la percentuale degli abitanti pari al 35,5%: la corruzione è misurata al 42% del totale nazionale, la concussione sale al 53%, l’abuso d’ufficio arriva al 62%. Come si può notare, lo scollamento tra società e istituzioni è più che preoccupante.
E allora, se il Sud si è suicidato – ed è perciò scomparso dall’orizzonte facilitando il compito ai suoi nemici (che pure ci sono e non vanno ignorati) – chi potrà mai avere l’autorità o il carisma d’intimare il fatidico «Alzati e cammina»?
di Alfonso Ruffo
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