Da Italia Oggi del 10 giugno
Chi sono i nemici dell’Occidente? La storia ci dice quali furono: i persiani contro i greci, i barbari contro i romani, gli islamici contro i cristiani, il «dispotismoì asiatico» (Wittfogel) del comunismo contro l’Europa. Ma oggi chi sono? Ce lo dice uno studioso, che da decenni se ne occupa: Luciano Pellicani, emerito della Luiss, nello studio L’Occidente e i suoi nemici (Rubbettino, pp. 448, euro 24). Un’opera che riassume decenni di lavoro, lunga e, qualche volta, ripetitiva, ma anche articolata in capitoli che si possono leggere ciascuno per suo conto. Oggi non v’è dubbio che il nemico più agguerrito è il mondo islamico, solo in parte terroristico, ma tutto decisamente antioccidentale: sia perché così è l’intera sua storia, sia perché oggi, finito il colonialismo europeo, i popoli islamici vivono un clima di rinascita della loro grande civiltà religiosa come unico cemento di nazioni che spesso (e ancor oggi) si sono combattute tra di loro.
Tra l’Ottocento e la prima metà del Novecento l’Occidente non ha solo occupato e colonizzato parte notevole dell’Islam, ma ha preteso di trasferire in una ecumene retta dal Corano precetti e usi che lo contrastano. L’Islam non rifiuta tecnologia e modernizzazione, ma non accetta l’invasione dello «spirito dei crociati» nei suoi territori. Non a caso l’Arabia Saudita, uno dei paesi più evoluti materialmente, culturalmente è tra i più conservatori. L’Europa, pur con tutte le sue guerre, anche di religione, è riuscita a produrre una civiltà nella quale il denominatore comune (ha scritto lo storico Braudel) è stato la libertà: autonomia civile, diritti naturali, distinzione tra religione e politica, limitazione del potere dello Stato, policentrismo politico, pluralismo culturale e tolleranza, sviluppo economico ed emancipazione sociale. Una «società aperta» (Popper), nel solco di Atene, culla della filosofia e delle arti, non della militaresca e statalista Sparta.
Una esplicita dichiarazione di guerra dell’islam all’Occidente fu fatta dall’ayatollah Khomeyni nel 1979: l’Occidente ha tentato di introdurre anche da noi la sua miscredenza e il suo nichilismo; dobbiamo reagire, prima reislamizzando gli stati del Corano, poi estendendo la Jihad a tutto il mondo; l’Islam o è politico o non esiste; e se il comunismo fu l’Islam del Novecento, l’Islam deve essere il comunismo del Duemila. Dopo dieci secoli di lotte, l’Islam aveva cessato di essere un pericolo per l’Occidente. Ma intanto i nemici dell’Europa le crescevano dentro. I puritani e i giacobini, questi intellettuali millenaristi, anticiparono per breve tempo ciò che solo i movimenti totalitari del Novecento (comunismo, fascismo, nazismo) realizzeranno: la grande novità antieuropea dello Stato totalitario (Arendt). Sconfitto nel 1945 in Hitler e Mussolini, ma destinato a durare sino al 1989 nell’Europa comunista. Un comunismo del quale fu una versione moderata, socialdemocratica, lo «Stato assistenziale»: largamente permeato di antieuropeismo, nonostante le sue finalità solidaristiche, sarà fra le cause di quella decadenza dell’Europa, che oggi appare in tutta la sua gravità.
Il comunismo ha fornito l’armamentario ideologico agli intellettuali organici, tutti decisi nemici dell’Europa. Essi proponevano un modello di società «perfetta» desunto dal comunismo sovietico: «Il Pci è la salvezza dell’Italia, è un Paese pulito, onesto, intelligente, colto in un paese sporco, disonesto, idiota, ignorante» (P.P. Pasolini, in «Corsera», diretto da Piero Ottone, 14 nov. 1974; poi in Scritti corsari, Garzanti, p. 114). E anche quando il comunismo si è putrefatto, questi intellettuali «gnostici», sacerdoti dell’intelligenza, hanno continuato la loro polemica moralistica contro il consumismo e il capitalismo: «Occorre uscire dal mercato» (S. Latouche, teorico della «decrescita felice»).
I nemici dell’Occidente vivono e agiscono anche dentro l’Europa. Sono per lo più intellettuali in crisi, che hanno perso il prestigio che avevano nella società passata. Risentiti e nichilisti, aristocratici ed elitari, disprezzano la società borghese ed appoggiano i movimenti che la combattono. Il sociologo Luciano Cavalli li ha così fotografati: «aspiranti leaders di mezza cultura, spostati, ambiziosi e di pochi scrupoli» (Il capo carismatico, Il Mulino). Nemici dell’Occidente erano quando, intellettuali organici, militavano nel Partito Comunista.
Oggi, dopo i funerali di Dio e di Marx, sono diversi, ma restano ancora indignati moralisti, sacerdoti con la cacca sotto il naso, firmatari senza sosta di appelli cervellotici contro il buon senso. Sono cambiati nei contenuti e nel linguaggio, ma non nel dna: largamente padroni dei media, della scuola e dell’università, hanno pensionato i miti marxisti, ma continuano in una società del vuoto a imperversare col loro nichilismo camuffato di buonismo. Propongono una cultura popolare, ma il popolo di quello che dicono e producono non capisce quasi niente.
La nostra società «liquida» ha liquidato anche ogni cultura propositiva. Gli intellettuali nemici dell’Europa difendono il vuoto di valori da loro stessi prodotto, capiscono tutto (ermeneutica), ammettono tutto (relativismo), se ne fregano di tutto (multiculturalismo). Ci ricordano quei matti, di cui parlava Ippocrate: hanno un malattia così grave, che non ne sentono più neppure il dolore (qui gravi morbo correpti dolorem non sentiunt, iis mens aegrotat).
di Gianfranco Morra
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