Sono stato a Manchester. Sono stato solo pochi giorni. Un lungo e avvolgente viaggio in autobus. Sì, in autobus dall’Italia, partito da Firenze fino alla terra d’Albione. Qui è inverno, lì era estate. Un’estate fatta di chiazze sparse di sole intervallate dalla onnipresente pioggia fitta, pigiata contro i corpi e le case. Lieve ricopriva me e i miei amici. Uno strato sottile di acqua che lasciava il posto solo all’umidità della nebbia, una coltre che restituiva un biancore a cui i miei occhi hanno all’inizio faticato ad abituarsi, resa leggera e impalpabile dalle vite che ho incontrato.
Non ci sono andato da solo, anzi, mi hanno accompagnato, ero insieme a Rino Garro. Con lui ho potuto conoscere Mario, Julie, Pasquale, Carmine, Nero e i tanti personaggi che si incrociano per le strade, i ristoranti e le stanze di una città fredda ma ospitale, in cui sembra esser tutto costruito per trovare quei pezzi che tanti di loro, di noi, hanno sempre cercato e che continuano a inseguire. Perché anche di questo si tratta, questo romanzo parla di una rincorsa, una continua ricerca di qualcosa, di qualcuno, che spesso non si riesce neanche a individuare con chiarezza.
E mentre ero lì ad ascoltare le loro storie mi è venuto in mente un concetto specifico. Un termine esatto. Saudade. Parola strana, che chi come me ha vissuto gli anni novanta riconosce subito per essere stata associata al mondo del calcio, in particolar modo a quella strana tristezza che si riconosceva nei giocatori sudamericani che venivano a giocare in Europa e in particolare in Italia.
È un termine che deriva dalla cultura lusitana, in origine galiziana e portoghese, poi brasiliana, che indica una forma di malinconia, un sentimento affine alla nostalgia. In alcune accezioni Saudade è una specie di ricordo nostalgico, affettivo, di un bene speciale che è assente, accompagnato da un desiderio di riviverlo o di possederlo. In alcuni casi si rivela una dimensione quasi mistica, come accoglienza, accettazione del passato e fede nel futuro.
In galiziano e lingua portoghese, a differenza di altre lingue romanze, la parola è l’unica utilizzata per designare tutte le varianti di questo sentimento. In tal senso è spesso considerata intraducibile in altre lingue. Saudade può essere comunque tradotta, in modo approssimativo, anche come struggimento, tristezza di un ricordo felice. Lo scrittore Antonio Tabucchi, profondo e raffinato conoscitore della lingua e cultura portoghese, spiega la Saudade come un senso di nostalgia tanto legato al ricordo del passato quanto alla speranza verso il futuro e propone come traduzione il dantismo disìo, come compare nel canto VIII del Purgatorio:
«Era già l’ora che volge il disìo
ai navicanti e ‘ntenerisce il core
lo dì c’han detto ai dolci amici addio»
Ed è quello che ho provato io seguendo le parole di Rino Garro, questa specie di strano sentimento che mi ha avvolto per tutta la durata della lettura del suo libro. Mi sono riconosciuto nei tratti perfettamente delineati dei suoi personaggi, nelle loro storie; io che l’università l’ho conclusa da molti anni e sono stato velato dalla malinconia ed eccitato dalle scoperte, sono rimasto incastrato come i suoi personaggi nella vita vera, quella che ti mette di fronte a un bivio e che ti impone di scegliere. E ho vissuto insieme alle pagine scritte, fatte di amicizia e complicità, quella malinconia che è presente in quasi tutti gli studenti e i lavoratori fuori sede, felici di vivere la propria condizione di stranieri in terra straniera, colpiti da tutto un mondo nuovo e luccicante, carichi per il fiume di esperienze che ci andrà a inondare, ma sempre con gli occhi verso un’altra terra, quella nostra, quella d’origine. Rino Garro da voce a una generazione altamente precaria, fatta di concorsi per la scuola, avventure in campi minati, lavori sottopagati e giornate riempite a forza di cose da fare. Una generazione piena di domande con poche risposte.
L’autore scrive bene, lo fa scegliendo le parole con oculatezza, calibrando, a secondo dei momenti della storia la sua scrittura. Ferma nei momenti di quiete, accelera, alzando il ritmo, quando necessita di incrementare l’ansia, e quando vuol far riflettere o colpire il lettore non manca di accarezzarlo con una scrittura poetica ed evocativa.
Un libro viaggio, un libro che risuona come le canzoni ascoltate e amate nel tempo, un libro intriso da una giocosa malinconia che riesce a far riemergere nei pensieri uno stato eccezionale e allo stesso tempo una realtà fatta da azioni consapevoli. Un viaggio dicevo, tra passato, presente e futuro.