Nella lettera che invia al Corriere della Sera nel 1925 quando si dimette dopo il forzato abbandono di Luigi Albertini dalla direzione, Luigi Einaudi lo ringrazia per lo “spontaneo consenso spirituale” ricevuto nelle tante battaglie combattute su quelle colonne sforzandosi di “servire fedelmente ed esclusivamente gli interessi supremi della patria”. E conclude riconoscendo che quel consenso lo aveva “confortato nell’aspro compito di applicare ai fatti ed ai problemi economici i canoni d’interpretazione imposti dalla scienza”.
Tale conclusione rappresenta una definizione esemplare dell’economia, come l’intendeva quel Granduomo. Ce lo ricorda il nipote Roberto Einaudi nella postfazione del libro appena pubblicato dall’Editore Rubbettino: Luigi Einaudi, Elogio del rigore. Aforismi per la patria e i risparmiatori, a cura di Corrado Sforza Fogliani. Einaudi “non si considerava uomo politico, ma professore, giornalista, lettore, agricoltore, amante di libri antichi e riteneva di avere il compito di semplificare formule economiche astruse, così che tutti potessero capirle”. Ma prima di tutto voleva inculcare nelle menti che l’economia è parte di qualcosa più grande della conoscenza specifica. È stato detto autorevolmente che non è buon economista chi è soltanto economista. Einaudi lo conferma nel migliore dei modi, nel solco di pensiero del realismo economico e dell’etica civile degli Smith e degli Hume: “Chi cerca rimedi economici a problemi economici è sulla falsa strada, la quale non può che condurre se non al precipizio. Il problema economico è l’aspetto e la conseguenza di un più ampio problema spirituale e morale”.
Gli “aforismi”, che Sforza Fogliani è trascinato a definire modernamente tweet, sono tutt’altro che estemporanei cinguettii da web, bensì lezioni magistrali in pillole. Scritti negli anni del primo conflitto mondiale, dal 1915 al 1920, specialmente per supportare lo sforzo bellico invogliando gl’Italiani a sottoscrivere (niente prelievo forzoso!) i titoli del debito pubblico indispensabile a finanziare la guerra nazionale, gli aforismi già nel titolo mostrano un andamento classico, lontano da tecnicismi e oscurità, intriso di buon senso e comandamenti morali, di incitamenti ideali e dimostrazioni politiche, oltre che di analisi e giudizi che la Storia ha avallato. Per esempio, il 4 novembre del 1919 (1919!), sotto il titolo “I socialisti tacciano di reazionario chi non vota per loro”, Einaudi scriveva mirabilmente e profeticamente: “A che cosa si riduce invero il socialismo in teoria e nella pratica che si vede oggi applicato in Russia? Ad estendere a tutti i rami della vita umana, a tutte le branche dell’operosità umana il sistema vigente nei ministeri e nelle amministrazioni di Stato. Il socialismo in fondo non è che una burocrazia estesa a tutti gli abitanti del Paese”.
È tipica e preziosa, negli scritti brevi (non minori) di Einaudi, quali gli Ammonimenti riportati da Sforza Fogliani e le citazioni di Roberto Einaudi dagli articoli del nonno, la caratteristica invero rara di contenere pensieri acuti profusi quasi incidentalmente nella trattazione principale e tuttavia così completi e concisi da valere come un saggio in argomento. Alcune riflessioni sono strettamente attuali anche un secolo dopo perché, ecco la grandezza dei classici, le “verità effettuali” machiavelliane sono durevoli quanto i tratti essenziali della natura umana.
“Agli Stati Uniti d’America si dovrebbero contrapporre od associare gli Stati Uniti d’Europa, in attesa di veder nascere in un momento ulteriore dell’incivilimento umano gli Stati uniti del mondo. Perché non dovrebbe essere possibile di rifare in Europa ciò che fu fatto dalle 13 colonie americane ribellatesi all’Inghilterra?”.
“Bisogna distruggere e bandire per sempre il dogma della sovranità perfetta. La verità è il vincolo, non la sovranità degli Stati. La verità è l’interdipendenza dei popoli liberi, non la loro indipendenza assoluta. Lo Stato isolato e sovrano perché bastevole a se stesso è una finzione dell’immaginazione; non può essere una realtà”.
“La classe politica non si forma da sé, né è creata dal fiat di una elezione generale. Ma si costituisce lentamente dal basso; per scelta fatta da gente che conosce personalmente le persone alle quali delega l’amministrazione delle cose locali piccole; e poi via via quella delle cose nazionali o interstatali più grosse”.
Nonostante la forma aforistica, Luigi Einaudi offre da par suo una trattazione efficace dei molteplici aspetti dell’intreccio tra politica ed economia negli anni della Grande Guerra e dell’immediato dopoguerra. Prediche inutili e sorpassate? No. Insegnamenti indispensabili ancora oggi a governanti e governati che amino la libertà decisi a conservarla.