Da Italia Oggi del 2 aprile
Matteo Renzi fa della politica o racconta delle favole? La domanda è mal posta, le due cose possono benissimo andare insieme. Ce lo dice Sofia Ventura in Renzi & Co. Il racconto dell’era nuova (Rubbettino, pp. 220, euro 12), sicura analisi dell’uso fatto da Matteo e dai suoi seguaci dei mezzi di comunicazione di massa. Un’opera acuta e gradevole, che alla perizia politologica aggiunge la vivacità del racconto, la disinvoltura del pensiero critico, il garbato cinismo della fenomenologia. Che ci narra una favola tutta, ovviamente, centrata su Matteo. Ma la Ventura sa usare bene il pennello anche per darci una appropriata frenologia dei «comprimari». Ecco la diligentissima Serracchiani, prima del pretorio, l’abile Guerini, col suo Dna «alla Andreotti», la Madia, commovente politica-mamma, gli embedded Giannini e Poletti, la profumatissima Moretti, una «Lady Like» abbonata dall’estetista, e soprattutto la Ninfa Egeria della Leopolda, la BB (bella e brava) Maria Elena Boschi, condiscendente e persuasiva, sorridente e serena, con i suoi avverbi inesorabilmente scanditi: «chiaramente, sinceramente, ragionevolmente».
La Ventura ci offre così una descrizione appropriata del renzismo e del suo successo. Al quale guardava con interesse: prima era stata radicale come il Maestro Panebianco e più tardi finiana, nel 2012 votò per Matteo nelle primarie. Ha intuito la novità del discorso renziano rispetto al vecchio politichese e, ancor più, alla «ditta» Bersani & Co., forma disideologizzata del vecchio gramscismo, che al Nuovo Principe ha sostituito il Burocrate. In tal senso lo «Stil Novo» di Renzi è fuori di ogni dubbio: la sua polemica contro i «gufi» e i «professionisti della sfiga» mira a sostituire alla democrazia dei partiti quella del pubblico. I post-comunisti hanno conservato la casta, quegli intellettuali organici, aristocratici e sprezzanti del popolo, dei quali l’accigliato D’Alema era ed è il massimo avatar.
Con uno scavo impietoso e realistico, la Ventura disvela l’uso degli audiovisivi da parte del grande Fabulatore: la presenza ininterrotta nei social network e della tv, il tweet mattutino, l’hastag a metà giornata e la velina serale, i messaggi subliminali, il presentare i progetti come già realizzati, il look in perfetto equilibrio tra primo della classe e giamburrasca, il selfie da bravo ragazzo, sincero e superattivo, tutto contribuisce a riproporre lo schema delle vecchie favole. Un libro intelligente e utile, che di Renzí analizza una mole sterminata di messaggi massmediali: non solo discorsi e interviste, ma anche la presenza ad «Amici» della de Filippi e le interviste a rotocalchi pop come «Vanity Fair» e «Chi». Peccato che si fermi troppo presto.
Ciò che resta piuttosto assente è il contenuto politico del discorso: va bene, Renzi è un ammaliante storyteller come e forse meglio di ogni altro politico; ma alla realtà dei suoi programmi e delle sue proposte, come anche a ciò che sinora, in poco più di un anno di governo, ha realizzato, la Ventura allude troppo en passant e con nonchalance. Il ritratto di Renzi come abile menestrello politico che annuncia una «New Age», è vera, ma non è men vero che Renzi ha un suo progetto e il suo discorso non si limita agli orpelli della comunicazione persuasiva.
Il saggio della Ventura non si sofferma sui diversi momenti in cui l’ex-cavaliere e l’ex-sindaco sono entrati in politica. Di certo peggiore il nostro 2015 di quel 1994, quando Silvio convinse l’elettorato che avrebbe creato una seconda repubblica. Che in vent’anni nessuno ha visto, neppure la Sciarelli. La difficile situazione etico-politica del nostro Paese si è di tanto aggravata, con una crisi epocale, che induce al timore di un’apocalissi ed insieme all’attesa di un rinnovamento da parte di un leader carismatico, lontano dagli interessi delle caste, dal bla bla dei partitanti, dal moralismo d’accatto dei sindacalisti, dagli svolazzi dei giornalisti, dal pensiero unico dei professoroni nichilisti.
La Ventura ci ha narrato con garbato umorismo una favola sulla favola: «C’era una volta un giovane coraggioso e senza paura che, insieme a un gruppo di amici, era riuscito, con poche e abili mosse, a conquistare un disgraziato Regno, vittima di un maleficio da tempo immemorabile. Un leader coraggioso e senza complessi, alieno dai tic della sinistra tradizionale, che si rivolgeva a tutti gli italiani per cambiare il Paese e costruire un nuovo futuro». Oggi la politica, nello sfacelo radicale delle ideologie e dei partiti, si è personalizzata, presidenzializzata e mediatizzata. E anche l’immaginario politico deve rivestirsi dei colori sgargianti dei social network, che fanno leva sulla quotidianità e sull’emozionale. Ma sarebbe miopia ridurla solo a questo. Il messaggio dei leader imbonitori non ha solo una funzione fabulatoria, esprime anche un progetto concreto e reale. E il popolo, che lo riceve attraverso i mass-media, vi legge qualcosa di più delle parole e delle immagini.
Negli ultimi mesi la fiducia e il consenso in Renzi sono diminuiti. È la vita ed è, anche, una legge dei media, epidermici, rapidi ed effimeri. Nessuno può sapere se riuscirà a farcela, di nemici ne ha davvero tanti, anche in casa. Ma di certo nessuno può negare la sua novità: la rottamazione non riguarda soltanto i politici e i metodi del Pd, ma l’intera democrazia italiana, troppo a lungo campo di occupazione e di spoliazione per partiti, sindacati e famiglie di vario genere. Diciamo meglio, con la Ventura: «Renzi rappresenta una rottura con la cultura tradizionale di gran parte della sinistra italiana. Egli esplicitamente inserisce la sua idea di politica all’interno dell’orizzonte maggioritario e adatta modalità comunicative che la sinistra con un certo provincialismo percepiva come berlusconiane, ma che in realtà appartengono alle grandi democrazie contemporanee come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna o la Francia».
di Gianfranco Morra
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