E’ il terzo rapporto annuale della Fondazione Montagne Italia. Come i precedenti (consultabili on line) comprende una prima corposa sezione dedicata all’analisi interpretativa della situazione e della sua evoluzione in atto, attraverso dati statistici cartografati a livello comunale, cui seguono altre sezioni dedicate all’approfondimento di temi specifici. Ogni parte si conclude con un capitolo (“Le voci della montagna”, a cura di Eures Ricerche Economiche e Sociali ) in cui gli argomenti prima trattati su basi oggettive, vengono rivisitati per mezzo di interviste a soggetti locali (amministratori e imprese). L’introduzione del volume, ad opera di Luca Lo Bianco, direttore scientifico della Fondazione, fa capire l’importanza e il significato politico del Rapporto. Dice che esso esce mentre sta crescendo, anche nei media, un interesse per la montagna non solo come luogo di svago per chi abita in città. Osserva anche che chi vive e lavora in montagna sta acquistando consapevolezza del valore del suo territorio-ambiente e si va così affrancando dalla subalternità al modello di vita urbano e che questa è la premessa di un nuovo rapporto di sussidiarietà con i territori urbanizzati. Infine avverte che questa emancipazione della montagna potrà esserci solo se il problema montano verrà visto come un problema dell’intero paese. Quindi il rapporto, attraverso un’analisi dei fatti e dei problemi, intende contribuire a questo cambiamento culturale, da cui potrà derivare una nuova fase di politiche per la montagna che non siano semplicemente perequative e assistenziali.
La prima parte, Le (molte) montagne italiane, insiste sul carattere plurale della montagna alpina, appenninica, sarda e siciliana, sui suoi caratteri e sui cambiamenti in atto. Comincia a individuare il territorio montano italiano, destreggiandosi tra l’ambiguità del concetto di “montanità” e le diverse definizioni datene nel tempo dagli enti istituzionali e in particolare dall’Istat, per adottare infine una delimitazione di montagna “istituzionale” che copre il 49 % del territorio nazionale, con una popolazione di 8,9 milioni di abitanti. Quello che stupisce è che i 3.741 comuni che la compongono vengano classificati (istituzionalmente) “totalmente montani”, mentre il 23% di essi (con ben 2,4 milioni di abitanti) hanno meno del 20% del loro territorio al di sopra dei 600 m di altitudine (p. 29). Ancor più grave è il fatto che molti di essi (in Liguria, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna) arrivano fin al mare, per cui quando poi si analizzano i dati di popolazione, o di attività economiche come il turismo ecc., si finisce per attribuire alla montagna anche ciò che attiene a realtà territoriali completamente diverse. La cosa è meno grave per quanto riguarda le cartografie su base comunale, dove queste anomalie sono evidenti. Ma quando i dati vengono aggregati per regioni o grandi tipologie (p. 34), il risultato appare in netto contrasto con l’intenzione del Rapporto di informare il pubblico su che cos’è realmente la montagna. Anche perché i media diffonderanno solo i dati aggregati, con le loro inevitabili distorsioni.
I temi, accuratamente illustrati nella prima sezione analitica e cartografica (a cura di Caira Consorzio, sotto la direzione di Giampiero Lupatelli), riguardano la popolazione, la struttura economica, il mercato del lavoro, le infrastrutture e i servizi. Le sezioni successive trattano la prima dei soggetti (istituzioni locali, imprese, terzo settore), la seconda delle politiche (Strategia Nazionale Aree Interne, rete rurale nazionale Gal e Leader, green economy) e la terza della sicurezza da terremoti, frane, alluvioni e incendi, con un approfondimento sui 131 comuni appenninici colpiti dal sisma del 2016.
Nonostante le riserve circa l’attribuzione di “montani” a circa 800 comuni che lo sono assai poco, il Rapporto si segnala, assieme ai due precedenti, come uno strumento indispensabile e finora ineguagliato per conoscere a fondo le condizioni odierne della montagna italiana, le sue dinamiche e prospettive. Certo non è facile da leggere e in certe parti anche da capire per chi non è specialista di analisi territoriali, come ad esempio nel caso di un indicatore geniale (inventato da Osvaldo Piacentini) come quello che combina densità insediativa e accessibilità. In compenso sono intuitive le ottime rappresentazioni cartografiche dei dati fondamentali e sono utili le sintesi dei vari argomenti (“… nelle Alpi … e negli Appennini” ecc.), i box sulle buone pratiche e gli “approfondimenti”, mentre a fini divulgativi le voci del glossario potevano essere un po’ più ampie. Forse da questi Rapporti, che hanno giustamente un carattere scientifico piuttosto rigoroso, si potrebbe trarre una pubblicazione divulgativa più semplice e snella, capace di interessare i tanti che amano la montagna anche solo per svago e che sarebbe importante diffondere nelle scuole.
Altre Rassegne
- Dislivelli (.eu) 2018.04.13
Rapporto Montagne-Italia
di Giuseppe Dematteis