Da Il Foglio dell’11 dicembre
Volete prevalere sui fautori delle nozze gay? Leggete “Non nel mio nome” (Rubbettino); l’ha scritto Jean-Pier Delaume-Myard, esponente di spicco della Manif Pour Tous che ha fatto un cavallo di battaglia dell’essere, come da titolo originale, “Homosexuel contre le mariage pour tous”. S’illude che basti riferire di omosessuali avversi alle nozze gay per dimostrare l’inconsistenza della proposta; lo schieramento opposto però potrebbe rintuzzare con frotte di eterosessuali a favore. Non è questo il grimaldello e non lo è nemmeno l’argomentazione che in realtà gli omosessuali non abbiano alcuna voglia di sposarsi: neanche gli etero ne hanno, però dal versante della legge l’utilità se non l’urgenza del matrimonio trascende pareri e desideri privati. Il punto chiave è infatti la dichiarazione di sette pagine resa dal filosofo Cyril Brun secondo cui “il matrimonio non è il riconoscimento dell’amore ma del posto che l’amore ha nella società”. Giuridicamente si parte dal presupposto che l’amore fra due persone apporti del bene comune ma si ritiene che i coniugi possano adempiere la propria responsabilità sociale indipendentemente dall’essere innamorati o meno: la legge vieta i matrimoni forzati ma consente quelli senza amore. Col mariage pour tous, conclude Brun, gli sposi non s’impegnano nei confronti della nazione ma si limitano a riceverne i mezzi per costruire una famiglia artificiale sulla volatile base del sentimento. Sentimento, desiderio, arbitrio ed egoismo sono sinonimi: questa è la strada che per mezzo della famigerata legge Taubira porta dritta, deduce Delaume-Myard, dalle nozze gay all’utero in affitto, alla trasformazione del bambino in strumento per compensare capricciosi bisogni individuali.
Preferite invece perdere il dibattito? Leggete lo stesso libro come pamphlet cattolico e funzionerà meno. Delaume-Myard testimonia di essere sempre stato accolto in chiesa e dai preti nonostante fosse omosessuale, notizia che sconvolgerà le masse ma che dovrebbe essere data per assodata visto che per i cattolici non conta ciò che l’uomo è ma ciò che l’uomo fa. Lui è cattolico praticante ma poco temerario, poiché non insiste sul fatto che il matrimonio è un sacramento quindi – citando il cardinale Vingt-Trois per il quale la legge Taubira è “un cambiamento che investe la società” portandola verso l’incapacità di “immaginare l’amore definitivo tra uomo e donna” – omette di chiosare che quest’amore definitivo è stato fatto secco tempo fa dalla rassegnazione al divorzio e alle forme nuziali civili che fanno concorrenza al sacramento. Grazie al cardinale si arriva alla chiave di volta, ove Vingt-Trois invita i cristiani a mobilitarsi meno con l’attivismo e più con la conversione poiché non stanno fronteggiando nemici esterni ma un nemico intimo: se in un’ex nazione cristiana come la Francia si presentano proposte di legge per sostituire alla categoria biologica di sesso quella di genere “che mostra che le differenze fra uomini e donne non si basano sulla natura”, è perché è venuto meno un convincimento interiore presso fedeli sopraffatti dall’io. Sì, è anche colpa dei cattolici. Lo stesso Delaume-Myard indulge in una settantina di pagine di autobiografia sentimentale, concedendosi alla sottesa illusione che ciascuno di noi sia unico e ogni storia individuale un’eccezione il cui risultato è una sessualità irripetibile. Così si finisce per fare della Manif uno schieramento Lmtp da contrapporre a quello Lgbt, con la tentazione di ridurre la complessità dell’uomo a un appiattimento, o di qua o di là. “Non in mio nome” brulica di collettivi di omosessuali contro le nozze gay, di comitati, consigli, direttivi, commissioni, federazioni, associazioni: brutto segno se il mondo cattolico si riverbera in infinite sigle diverse dalla croce. Il matrimonio è una cosa semplice e per fortuna il Vangelo (Matteo 22, 30) ci assicura che “alla risurrezione non si prende né moglie né marito ma si è come angeli nel cielo”.
di Antonio Gurrado
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