Da Repubblica del 2 febbraio
Era il 1994. All’indomani delle elezioni politiche che vedono la vittoria di Berlusconi, in una Roma attraversata dalla pioggia si muovono vari personaggi del sottobosco tra economia e criminalità, racket e grandi speculazioni: un ex paracadutista oggi estorsore, un ex organizzatore di produzioni cinematografiche, un avvocato, il prestanome di un camorrista…
No, non è un seguito apocrifo di Suburra. È un romanzo scritto negli anni ’90 da un bergamasco allora settantenne, ex partigiano, regista cinematografico appartato e, come si dice, di culto: Giulio Questi. Rimasto inedito fino a oggi, Effetti & scadenze (Rubbettino, pagg. 202, euro 16) viene pubblicato nell’anniversario della morte dell’autore. Questi, scomparso novantenne a dicembre 2014, nell’ultimo anno di vita era stato riscoperto da più parti. Aveva addirittura esordito nella narrativa, con dei racconti autobiografici sulla Resistenza pubblicati da Einaudi, Uomini e comandanti. Quasi contemporaneamente era uscita una sua autobiografia in forma di intervista, Se non ricordo male (Rubbettino), cui era seguito un omaggio al Festival di Torino. Ma da decenni i cinefili di tutto il mondo, fra cui Quentin Tarantino, lo tenevano in gran conto, nonostante avesse realizzato solo tre lungometraggi: un thriller pop con Gina Lollobrigida e Jean-Louis Trintignant (La morte ha fatto l’uovo), un western violento e cripto-gay (Se sei vivo spara), e una specie di gotico metropolitano ambientato tra gli immigrati meridionali a Milano (Arcana).
Ma Questi aveva attraversato la cultura italiana in mille forme: collaboratore e amico di Elio Vittorini, che aveva pubblicato i suoi primi racconti, attore ne La dolce vita di Fellini, e molto altro. Negli ultimi anni si era dedicato a dei film autoprodotti, in cui era regista, attore, cameraman, spesso girati tra le quattro mura di casa.
Effetti & scadenze, che ha l’urgenza, la forza e a tratti la mancanza di rifiniture del libro che nasce dall’attualità, aggiunge un tassello sorprendente alla figura dell’autore. L’idea è con ogni evidenza di aggiornare la struttura del poliziesco all’americana (e all’italiana) alla cronaca politica, senza intrecciarlo direttamente con i grandi eventi ma mostrando, per così dire, la ricaduta in un mondo di traffici immorali, in un’ansia diffusa di scalata sociale. Il risultato è una parabola tenuta insieme da una mano saldissima di narratore.
L’avvocato Pintus gestisce, insieme a rispettabili professionisti, una finanziaria truffaldina che nasconde un giro di usura, e tenta di fare il grande salto entrando in un affare di supermercati. L’ex parà Rino si impossessa quasi per caso dei soldi, e scappa insieme a Milena, sua vecchia fiamma e amante di Pintus. Ma i soldi per l’affare li aveva messi Masullo, feroce camorrista latitante, e quando il temerario Rino scappa col malloppo, si scatena l’inferno.
È un mondo senza eroi e senza morale, come sarà appunto Suburra; con meno riferimenti all’attualità e meno ambizioni d’affresco, ma con l’idea già chiara che il noir poteva essere la chiave per leggere il presente (anche se la moda del genere era in parte di là da venire).
A leggerlo oggi, un romanzo quasi profetico.
Di Emiliano Morreale
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