da L’Eco di Bergamo del 7 gennaio
Un saggio svela l’esistenza di un lungo rapporto cresciuto nel retroscena della politica italiana
C’è un libro che analizza a fondo la figura di Fellini, e in cui se ne racconta anche un risvolto poco conosciuto:la sua amicizia con Giulio Andreotti. Si intitola «Viaggio al termine dell’Italia. Fellini politico», ed è firmato dallo studioso di cinema Andrea Minuz. Per gentile concessione dell’editore(Rubbettino) ne pubblichiamo un breve stralcio.
Non potevano non piacersi il «Divo»e il «Maestro». Classe 1919 uno, 1920 l’altro, ma nati a pochi giorni di distanza, avevano avuto entrambi due carriere a dir poco formidabili. Ben presto si erano trasformati in due monumenti viventi del Paese, emblemi di un’idea tutta italiana del potere e dell’arte,che a loro modo incarnavano nell’accezione metafisica di enigma, mistero, ambiguità.
Per alcuni, Andreotti e Fellini si contendono addirittura l’invenzione del mito della «dolce vita». Senza la legge voluta da Andreotti nel 1949 per incoraggiare le produzioni americane, infatti, non ci sarebbe stata alcuna Hollywood sul Tevere e nessun via vai di star del cinema a via Veneto».
Federico Fellini vantava l’amicizia di varie importanti esponenti della politica italiana, dal Presidente della Repubblica Giovanni Leone al repubblicano Ugo La Malfa. Confessava di aver votato per quest’ultimo, «poi per i socialisti di Pietro Nenni, una sola volta per i democristiani (alle elezioni del 1976, quelle in cui si prospettava il sorpasso comunista) e mai per il Pci». Diceva: «Tutto quello che posso dire di politica si basa solo sui rapporti personali e su questo sentimento ambiguo e del quale però mi fido: la simpatia». Una simpatia indubbiamente trasversale agli schieramenti. Nel 1984,lo ricordano impietrito nel picchetto d’onore davanti alla bara di Berlinguer. Nel 1985, è tra i firmatari di un testo di solidarietà ai parlamentari e giornalisti socialisti condannati per aver diffamato il pm del processo Tobbagi, Armando Spataro. Negli anni ’90, dopo lo spot elettorale per i repubblicani di Giorgio La Malfa, realizzato in nome dell’amicizia e della stima per suo padre Ugo, si fa fotografare alla festa elettorale di Franco Evangelisti, senatore Dc della corrente andreottiana, mentre sui giornali tiene banco l’arresto di Mario Chiesa che a valanga nei
mesi a seguire trascinerà con sé tutta la prima Repubblica. Se per La Malfa nutriva una sincera ammirazione politica, di Andreotti Fellini subiva un fascino «letterario». Andreotti gli sembrava«inventato da un grande romanziere». «Mi piacerebbe moltissimo chiacchierare una notte intera con lui. E’ un personaggio da corte shakespeariana come Otello». Dal canto suo, in occasione del Leone d’oro alla carriera conferito a Fellini, Andreotti sottolineava con acume la valenza pittorica, oltreché poetica, dell’opera del regista, raccontando altresì le sue perplessità iniziali: «Personalmente feci agli inizi fatica a comprenderela chiave di lettura felliniana. “Lo sceicco bianco”, ad esempio, non mi era sembrato quel capolavoro che non pochi applaudivano […] . Fu “La strada” a farmi ricredere: un lavoro che quando ho l’occasione non mi stanco di rivedere, provando un’intatta emozione, trovandoci ogni volta qualcosa di nuovo, nel racconto […]. Ho parlato di poesia ed è sicuramente questa la cornice nella quale va posta l’ opera di Fellini. Parlerei quasi di pittura, con una perfezione che ha trovato autentica sublimazione in “Prova d’orchestra” e “E la nave va” per il circuito misto delle sale e della televisione».
Intervistato pochi giorni dopo la morte del regista, Andreotti confessava: «Era amico di Fellini?»; «Moltissimo. Ho delle lettere bellissime. L’ultima è recente ed è straordinaria. In occasione delle mie vicende diciamo così giudiziarie, mi telefonava spesso, è da Fellini che ho avuto le parole più belle di solidarietà e amicizia.
di Andrea Minuz
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