Da Il Mattino del 21 luglio
L’altro ieri sera – prima su Rai Storia, poi su Raiuno – è successo qualcosa che non è difficile definire «importante». Parlo della messa in onda di «Paolo Borsellino Essendo Stato» di Ruggero Cappuccio.
Chi frequenta le sale teatrali aveva già incontrato questo testo così originale e vibrante, dedicato a una delle pagine più amare e aspre della nostra storia repubblicana. La novità sta nel fatto che il servizio pubblico ha deciso di «appropriarsene» (e se vuole davvero affezionare i telespettatori alle proprie reti è in questa direzione che deve continuare ad andare, così giustificando la richiesta di un canone).
Ruggero Cappuccio ha sfruttato l’occasione per rileggere il suo lavoro. Innanzitutto se n’è fatto interprete, decidendo di essere lui stesso Paolo Borsellino, e da non siciliano ha anche avuto il coraggio di reinventare la caratteristica cadenza palermitana senza cadere nella macchietta (e lo scrive uno che a Palermo c’è nato). Poi ha mescolato alle parole da lui scritte, immagini tratte dall’archivio della Rai e immagini girate ex novo. Ne è nata un’opera che infrange le solite regole televisive e che dà allo spettatore non solo dei valori civili, ma allo stesso tempo lo mette nella condizione di «pensare», di farsi un’idea propria. L’altro ieri sera abbiamo scoperto un altro aspettto del multiforme talento di Cappuccio: quello dell’attore. L’abbiamo visto camminare tra le macerie dell’attentato, nelle aule storiche di un tribunale, su una spiaggia; lo abbiamo visto entrare e uscire in luoghi segreti, che bene tratteggiavano il «monologo esteriore» di Borsellino.
Cappuccio ha collezionato i passi della Storia infame che ha portato all’assassinio del magistrato; li ha sezionati ed analizzati; i passi romani, quelli siciliani: i passi perduti tra migliaia e migliaia di pagine; le pagine accumulate durante gli interrogatori dei mafiosi; ma anche le pagine degli interrogatori subiti sia da Giovanni Falcone sia da Paolo Borsellino. Eh sì, è successo anche questo; è successo che entrambi i magistrati abbiano dovuto rendere conto del loro lavoro, quasi dovendosi scusare di quel che stavano facendo. Dalla trasmissione di ieri è venuta fuori una tesi che consuona perfettamente con quella contenuta nell’ultimo libro di Isaia Sales, Storia dell’Italia mafiosa (Rubbettino editore): le criminalità organizzate, senza lo Stato, non sarebbero ancora operanti; se lo Stato interrompesse all’improvviso ogni rapporto con loro, diventerebbero criminalità comune, e sarebbe molto più semplice aggredirle, ponendo fine alla loro storia sin troppo lunga e fosca. In questo senso fa bene Cappuccio a definire le storie di Falcone e Borsellino come quelle di sconfitti che hanno vinto. Sembrerebbe un ossimoro, ma così non è. Bisogna solo avere pazienza.
Prima ho definito il talento di Ruggero Cappuccio multiforme. Come definire altrimenti il talento di una persona che è sia un autore teatrale, sia un regista (teatrale e di opere liriche), sia uno scrittore; ed è allo stesso tempo un organizzatore e un produttore. Con il suo «Teatro segreto» ha dato vita non solo a spettacoli, ma anche a festival e a rassegne. Basti citare, ad esempio, il festival «Segreti d’Autore» che proprio in questi giorni prende il via in vari luoghi del Cilento e ha come baricentro Serramezzana.
D’altronde, Cappuccio è stato in passato un apprezzato direttore del festival CittàSpettacolo di Benevento. Ricordo questi suoi impegni perché di recente ho visto comparire il suo nome tra quelli papabili a dirigere la scuola teatrale del teatro Mercadante.
Non so se a Cappuccio questo ruolo «didattico» interessi o meno; di certo mi chiedo se non sia giusto che il nostro territorio non tenga conto di un talento multiforme come il suo. Lo dico pochi giorni dopo averlo scoperto come l’attore e l’autore che ha dato parole a Paolo Borsellino, mischiando sapientemente le proprie alle sue, ricordando agli italiani quanto lavoro civile ci resti da fare per onorare il coraggio, la tenacia e la competenza di un magistrato esemplare.
di Silvio Perrella
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