Circa dieci anni fa uscì un testo piuttosto gustoso del teologo Armando Matteo dal titolo La fuga delle quarantenni. Il difficile rapporto delle donne con la Chiesa (Rubbettino), nel quale veniva evidenziato come le donne nate dopo il 1970 (ma in modo ancor più deciso quelle nate dopo il 1981) manifestavano una evidente estraneità e disaffezione all’universo religioso cattolico. «Ci troviamo – scriveva il noto teologo- davanti all’emergere di una generazione di donne che inizia a rompere una secolare alleanza che ha sicuramente giovato a entrambi i partner, ma che ora chiede di essere nuovamente rinegoziata. Sicuramente sul fronte ecclesiale».
È ovvio che nella relazione donna – Chiesa entri in gioco il cambiamento della condizione femminile verificatosi nel secolo scorso, in modo particolare dopo il Sessantotto. In virtù di ciò oggi, secondo quanto riportato dal Rapporto del 2022 di Almalaurea, un Consorzio Interuniversitario pubblico italiano, relativamente al profilo dei laureati, tra i laureati del 2021 la componente femminile è più alta (59,4%) di quella maschile, e la quota delle donne che si laureano in corso è del 63,0% (è 57,9% per gli uomini) con un voto medio di laurea uguale a 104,2 su 110 (è 102,4 per gli uomini).
La scrittrice Michela Murgia non teme di sottolineare come nell’immaginario cattolico la donna virtuosa sia caratterizzata dall’accondiscendenza, dall’obbedienza, dal nascondimento…, e come tale visione sia confermata da una certa rilettura di Maria di Nazaret. Afferma la scrittrice: «Non c’è niente come la Scrittura per rivelarci quanto sia falsa l’idea di Maria che vogliono darci a bere come docile e mansueta, stampino perfetto di tutte le donnine per bene» (Ave Mary, Einaudi), e aggiunge: «se la Chiesa non si è inventata la subordinazione tra i sessi, ha scelto di legittimarla spiritualmente».
Come può la giovane donna di oggi, maggiormente preparata rispetto al passato, identificarsi con un tale immaginario? Come può mantenere una relazione con le comunità ecclesiali quando con fatica si individuano vie capaci di valorizzare l’apporto della donna nei processi decisionali?
È quindi “scontato” che le chiese vuote che la pandemia ci ha lasciato vedano la presenza non solo di pochi uomini, pochi bambini, pochissimi giovani, ma anche di poche donne.
È opportuno precisare come le “quarantenni” di oggi non dimostrino solo una disaffezione nei confronti dei riti, ma nei confronti della dottrina ecclesiale. L’allontanamento dalla liturgia è la manifestazione esterna della presa di distanza dalla Chiesa. Poniamo però ora l’attenzione sul celebrare cristiano, cercando di mettere in luce, nel contesto delineato, alcune delle cause che hanno condotto, e ancora conducono, al congedo dalla liturgia tanti fedeli, non solo donne, ma anche uomini.
La fatica del linguaggio liturgico
Sembra che oggi il gesto liturgico non sia più significativo, non parli più ai fedeli. Capita spesso di partecipare a celebrazioni abitate dalla noia. Accade tutto ciò perché non sappiamo “mettere in opera” la liturgia? O perché negli ultimi decenni è venuta meno una adeguata formazione liturgica? Oppure c’è dell’altro? Romano Guardini, ad esempio, nella Lettera sull’atto di culto (1964) constatava come l’uomo contemporaneo avesse perduto la «capacità simbolica», non fosse più in grado di vivere il «linguaggio simbolico rituale» della liturgia.
Sicuramente le attuali difficoltà con il celebrare cristiano sono riconducibili ad una molteplicità di cause, interne ed esterne alla liturgia. Proviamo a individuarne alcune.
La liturgia è “ancora” arte?
Nella Sintesi nazionale italiana della fase diocesana del cammino sinodale si legge: «Di fronte a “liturgie smorte” o ridotte a spettacolo, si avverte l’esigenza di ridare alla liturgia sobrietà e decoro per riscoprirne tutta la bellezza e viverla come mistagogia […]»
Spesso le azioni liturgiche a cui partecipiamo sono sciatte, poco curate; in esse è veramente difficile avere una esperienza profonda del Mistero. Canti inadeguati, ambiente poco curato, prese di parola inopportune, gesti maldestri, assenza di silenzio orante … come si può pregare così? La liturgia è costituita dai linguaggi dell’arte; nell’azione liturgica i diversi codici vengono messi in opera in una modalità simile a quella artistica, mantenendo la necessaria differenza simbolica dal loro utilizzo nella vita quotidiana, proprio per evitare di perdere capacità di aprire all’esperienza del mistero.
Nella liturgia non solo è fondamentale la modalità della messa in opera dei diversi linguaggi, ma la relazione tra loro. Nel celebrare cristiano i linguaggi devono trovare una armonia e un equilibro, senza “prevaricazioni” o eccessivi personalismi. Canto, parola, gesto, luci, odori … devono armonizzarsi, “amplificarsi” e sostenersi vicendevolmente, il tutto nella nobile semplicità conciliare (come dice Sacrosanctum Concilium, la costituzione sulla sacra liturgia, una delle quattro conciliari emanate dal Concilio Vaticano II ).
Indubbiamente, tranne rare eccezioni, non abbiamo riservato alla liturgia tali attenzioni, o meglio, non siamo stati coscienti dei suoi dinamismi, e forse addirittura della sua natura di azione simbolico rituale.
Il problema del linguaggio liturgico però è ancora più complesso. Dovremmo chiederci come declinare la liturgia nel contesto contemporaneo, che sembra aver smarrito quell’universo simbolico nel quale la liturgia prendeva significato.
Ogni celebrazione, inoltre, avviene in un tempo determinato, in uno luogo preciso, in una cultura. È quindi necessario considerare come l’uomo contemporaneo viva il tempo, lo spazio, il corpo. Il lockdown stesso, insieme alle relazioni digitali che lo hanno caratterizzato, ha portato ad una smaterializzazione delle relazioni stesse. Come armonizzare tutto ciò con il tempo lento e «ricco di memoria» della liturgia; con l’oggi del celebrare che riattualizza l’evento di salvezza avvenuto storicamente nel passato e anticipa la liturgia celeste? Come conciliare il tempo puntuale, accelerato, frammentato vissuto dall’uomo contemporaneo con il tempo «lento e trasfigurato» della liturgia che apre al mistero? È necessario un serio lavoro di inculturazione nell’oggi.
Liturgia e immagine di Chiesa
La celebrazione concreta manifesta il volto della Chiesa. Dobbiamo domandarci quale immagine di Chiesa oggi emerga dalle nostre celebrazioni. Se facciamo riferimento al tempo pre pandemia, sono interessanti le affermazioni dei giovani riportate nell’Instrumentum Laboris della XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi (3-28 ottobre 2018)- I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Si legge al n. 69: «Ritorna spesso il tema della liturgia, che vorrebbero viva e vicina, mentre spesso non consente di fare un’esperienza di “alcun senso di comunità o di famiglia in quanto Corpo di Cristo” […] Molte risposte al questionario segnalano che i giovani sono sensibili alla qualità della liturgia. In maniera provocatoria la Riunione Pre-sinodale dice che “i cristiani professano un Dio vivente, ma nonostante questo, troviamo celebrazioni e comunità che appaiono morte”».
Come ravvivare tali comunità definite morte e poco familiari? Forse con sano realismo dovremmo ripartire dalla qualità delle nostre relazioni, alla ricerca di rapporti significativi, autentici. Come si può celebrare insieme se non ci si conosce, se non si condivide la vita cristiana oltre la liturgia? Non ci può essere comunione con Dio nel celebrare senza la condivisione nella carità con i fratelli e le sorelle. Allo stesso tempo è importante ricercare spazi concreti di responsabilità ecclesiale, in «uno stile sinodale in cui le decisioni si prendono insieme, sulla base dell’apporto di ciascuno a comprendere la voce dello Spirito, nella chiave del discernimento e non della democrazia rappresentativa» (Sintesi nazionale italiana della fase diocesana del cammino sinodale).
Certamente la valorizzazione dei ministeri istituiti in atto con il Motu proprio di Francesco Spiritus Domini del 10 gennaio 2021 potrebbe sostenere una tale ricerca e offrire una immagine di Chiesa diversa; l’assemblea concreta celebrante, nella diversificazione dei ministeri liturgici, è segno dei doni e carismi che lo Spirito suscita nella comunità ecclesiale e a servizio della comunità stessa. Ma tutto ciò è sufficiente perché la “quarantenne” contemporanea possa riconnettersi con la Chiesa, e di conseguenza con la liturgia?
L’assenza di una iniziazione alla liturgia
La sempre minor partecipazione del popolo di Dio alla liturgia è dovuta anche ad alcune mancanze relative alla formazione liturgica.
Tra queste, forse la più evidente, è data da una idea di formazione liturgica equivalente alla semplice spiegazione. La liturgia non è un pensiero, ma una azione, e per questo richiede una lunga e graduale iniziazione, capace di coinvolgere tutte le dimensioni dell’umano. Non è infatti solo attraverso la spiegazione che si formano i giovani e le giovani alla liturgia, ma abbiamo bisogno di esperienze di preghiera che creino un linguaggio intermedio. La liturgia è il punto di arrivo, non di partenza, prevede tutta una serie di azioni che la precedono. Non dobbiamo dimenticare che si impara a celebrare «celebrando bene giorno dopo giorno».
Sulla formazione liturgica sarebbero molte le cose da dire, ma forse è opportuno domandarsi chi possa compiere una tale opera formativa. Si parla, in virtù di quanto proposto da Sacrosanctum Concilium, della formazione liturgica dei presbiteri, di come debbano essere formati all’ars celebrandi, dei possibili cammini di iniziazione alla liturgia nei seminari. Ma, visto il contributo significativo offerto da molte donne, e da molte religiose, dal post concilio ad oggi, nella catechesi, nella pastorale giovanile, nell’accompagnare adolescenti nel cammino cristiano, nella scuola cattolica, è lecito domandarci quale formazione teologica, e quindi liturgica, abbiano ricevuto. In modo particolare riguardo le religiose. Se a tutte fosse stata offerta la possibilità di accedere ai percorsi istituzionali di teologia, avrebbero potuto offrire una più competente formazione cristiana, e quindi liturgica, a bambini, ragazzi e giovani. E ci chiediamo, spostando la nostra attenzione al futuro, non sarebbe il caso di investire seriamente sulla formazione, oltre che del laicato, anche delle religiose, determinando con chiarezza una ratio studiorum, contemplando studi teologici come per i presbiteri? Altrimenti, come potranno affrontare tutte le sfide attuali che pone l’evangelizzazione, e tra queste, la liturgia?
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