Lungo il periodo natalizio due letture molto stimolanti si sono incrociate; stranamente simili, due autrici che narrano le drammatiche vicende biografiche dei nonni paterni, con grande attenzione ai momenti storici. La scrittura è profondamente diversa, per situazioni, approccio e consapevolezze, ma se non ci fosse stata questa coincidenza temporale, non sarebbero emerse alcune risonanze profonde. Uno dei due romanzi rimane sullo sfondo ma gli echi raggiungono l’altro, agevolando una valutazione comparata.
La scrittura di Michela Marzano è apprezzabile per l’impegno civile e la ricerca nei meandri dell’inconscio. Rivela in “Stirpe e vergogna” ferite che a tratti, con dura intransigenza, raccontano la difficoltà dell’autrice di elaborare il trauma della scoperta di un nonno fascista. La Storia è presente anche nell’altro libro che ha preso il sopravvento lasciando in stand by la filosofa. Si intitola “Pepi l’americano”, edito da Rubbettino, di Rossella Scherl, brillante scrittrice calabrese, con la passione per il teatro, residente a Roccella Jonica, anche se nelle sue vene molte sono le contaminazioni, essendo napoletana di padre istriano. La Storia grande e quella familiare si intrecciano creando un ordito e una trama indissolubili. Raccontare le proprie radici non è mai facile, ma può essere molto diversa la modalità di farlo. La forza o l’esitazione, la rabbia o la pacificazione, spingono a graffiare la pagina oppure a sostare, attendendo che il tempo faccia il suo lavoro. Tutto ciò fornisce in filigrana le emozioni di chi ha elaborato la storia, trasmettendole al lettore.
La Scherl ha svolto un lavoro di ricerca minuzioso e attento, piuttosto impegnativo e lungo nel tempo. L’attenzione al particolare si coglie quando il giovane protagonista si imbarca come mozzo e parla in un fitto linguaggio marinaro, che sa di venti, di approdi e di vele. Sulla vicenda dell’Istria è posta una luce particolare che fa giustizia del non detto che, per troppo tempo, è stata per il nostro paese una pagina di rimozione vergognosa! La ricerca attenta dell’autrice abbraccia le due guerre mondiali, la tragica vicenda delle foibe, il successivo doloroso esodo di migliaia di persone dalla propria terra diventata inospitale. Ma soprattutto è un segno di gratitudine e di orgoglio d’essere parte di una stirpe resiliente e coraggiosa. Non solo nei confronti di un nonno dalla storia così speciale, ma anche della figura paterna, di quanto sia importante essere “lottatori” e cercatori instancabili di giustizia, di ciò che viene chiamato il “legittimo contendere”.
L’autrice racconta che più volte il suo lavoro, ancora in embrione, è stato messo da parte, ripreso e lasciato ancora. Fino a che non affida la lettura di diverse cartelle ad un’amica, esperta di libri, che le intima: devi continuare! Per un autore entrare nella trama profonda, comporta fare i conti con i lati oscuri e a volte indicibili. Possono essere esorcizzati attraverso un’analisi esplicita che non tralascia i dettagli del travaglio. Oppure fare un passo indietro, sostare nei luoghi del “descansos”, dell’elaborazione. Tanto più si pazienta per non farsi coinvolgere, tanto più il risultato è positivo. Ma questo dipende dall’indole dello scrittore e dalla vicenda trattata. La scelta di Rossella Scherl, di lasciar narrare il nonno Giuseppe in prima persona, è felice. Il protagonista nasce con il marchio di illegittimo e questa ferita insieme a quella ancora più cruenta dell’abbandono materno lo segna fino all’età adulta. Di famiglia contadina, viene chiamato dal nonno Bortolo come uno zio morto bambino, ma aggiunge a Giuseppe un altro nome, Massimiliano, perché: “era un contadino, capiva di semi e di stagioni, di gelate che possono lasciare il segno e bisogna darsi pace. E forse per darsi pace stabilì che, se del padre non potevo avere il cognome, ne avessi almeno il nome. A marchio permanente, di fianco al primo”.
Nessuno sfugge al proprio destino, le proprie radici, prima o dopo chiedono d’essere assunte, svelate, attraverso un lavoro di integrazione mai scontato e a volte non pienamente assunto. Ci sono tanti modi per darsi pace. La Marzano è tormentata dalla vergogna, ha difficoltà a perdonare quel nonno che acclamava Mussolini, vede incrinarsi la figura paterna che ha allevato lei e il fratello ai più alti valori democratici, con un atteggiamento di totale rimozione. Le “costellazioni” familiari svelano radici tossiche. Nascondono colpe, vergogne, voragini mai chiuse, amarezze mai sopite che chiedono il conto, prima o poi. Anche dopo un lungo viaggiare, per porre la distanza più grande dalla terra contadina di cui conosce persino il sapore, Pepi, giunto al faro alla fine del mondo, sente che deve ritornare indietro. Un oceano di distanza l’ha aiutato a crescere, a capire meglio se stesso, a formarsi grazie ai tanti incontri positivi che lo salvano da un’infanzia dolorosa e da quei volti femminili che tanto lo hanno ferito. Il viaggio a ritroso per mare e quello, ancora più importante, dentro di sè, va fatto. Paradossalmente Marzano, se potesse, disconoscerebbe le sue origini. Nella vicenda di Pepi, il disconoscimento è una sorta di peccato originale, la cui colpa alla fine sbiadisce dai volti delle persone, perché alligna nelle paure e nelle micidiali convenzioni sociali. E’ una colpa che chiede un processo laico redenzione. “Quando non si elabora, il passato ci agisce, leggiamo in Stirpe e vergogna, se non si decide di farci i conti, lo si tramanda di generazione in generazione. Quando ci si illude di averlo rimosso, riaffiora. E prima o poi c’è chi, il conto, deve pagarlo”. Ecco come i libri parlano alla nostra storia, ci inquietano o ci danno respiro ampio perché per tutti il bisogno di capire a fondo le storie di famiglia, dice Rossella Scherl, vale molto di più di una sottrazione e non deve andare perso.