Dott. Ivan Battista, Lei è autore del libro Psicourbanistica della città ideale, edito da Rubbettino: quale contributo possono offrire alla progettazione urbanistica altre branche del sapere quali la psicologia e le neuroscienze?
Il contributo che altre branche del sapere possono portare alla progettazione urbanistica è sostanziale.
Un architetto/ingegnere urbanista non può e non deve contare soltanto sulla sua preparazione tecnica specifica, ma è necessario che completi il bagaglio del suo sapere con cognizioni umanistiche e scientifiche d’altro genere come quelle relative, ad esempio, alla storia, alla psicologia, alle neuroscienze, all’arte pittorica, all’ambiente, alla biologia, alla botanica, etc.
La convinzione del grande architetto Frank Lloyd Wright che un bravo architetto/urbanista non si riconosce dal suo cervello ma piuttosto da quanto è arricchito culturalmente il suo cuore, credo abbia un valore assoluto.
Quali distorsioni ha subito l’attuale panorama costruttivo e progettuale-realizzativo?
L’attuale panorama costruttivo e progettuale realizzativo ha subito tante e tali distorsioni da influire molto negativamente sia sulla psiche del singolo individuo sia su quella collettiva con risultanze, a volte, davvero drammatiche. L’ammasso di persone in aree urbane del tutto insufficienti a soddisfare l’esigenza di spazio dell’essere umano procura una risposta istintiva di aggressività, così come tutti gli esperimenti scientifici hanno dimostrato sia su animali sia sull’uomo. La spersonalizzazione delle città e dei quartieri riprodotti in “copia conforme” induce nell’individuo un sentimento (non solo un’emozione, poiché dura nel tempo) di alienazione molto dannosa per il suo equilibrio psichico. Tutto ciò è causato da una visione economica monotematica che punta soltanto alla massimizzazione del profitto sul metro quadro. Il risultato sono città e quartieri che non hanno tenuto conto delle varie e indispensabili esigenze umane quali: la possibilità di incontro con i propri simili in situazioni urbanistiche che facilitino tale incontro con spazi a dimensione umana e che non comprimano e velocizzino i tempi, ma li rallentino. Spazi verdi per la salute del corpo. Edifici e costruzioni funzionali e razionali sì, ma non intensivi che abbiano anche elementi distintivi di forme e di fregi che rendano il piacere di viverci dentro ed elevino la dignità abitativa, etc.
Su quali basi è dunque possibile il recupero della dignità abitativa?
Il recupero della dignità abitativa deve passare necessariamente attraverso una nuova visione economica che non sia solamente orientata al profitto per il profitto. Molta responsabilità, in questo senso, la ha la politica. Ormai si è verificato da decenni che la speculazione finanziaria ha il dominio sulla politica. Il circuito è presto spiegato: il potere finanziario speculativo edilizio favorisce l’elezione di uomini e donne in politica che poi andranno ad occupare posti chiave decisionali relativi ai lavori pubblici, all’urbanistica, all’ambiente, nei municipi, nei comuni, nelle regioni e anche a livello nazionale. Costoro saranno teleguidati dall’enorme potere speculativo finanziario edilizio ed urbanistico. Il gioco è fatto, il cerchio si chiude. La politica dovrebbe riprendere il sopravvento sulla speculazione fondiaria selvaggia e imporre le sue ragioni. Cioè: “tu imprenditore puoi fare il tuo interesse e in questo sarai favorito, ma a condizioni che io politica ti impongo”, così come Hidalgo, la sindaca di Parigi, sta realizzando in questi ultimi tempi. In conclusione: prima le infrastrutture, la realizzazione di progetti architettonico/urbanistici che rispettino la dignità abitativa con tanto di sistemi energetici e di sicurezza totale, poi costruisci e fai il tuo business. La lotta tra queste due visioni, però, è potente e a volte vince quella corretta politica, a volte quella sbagliata speculativa tout court.