La dimensione territoriale della produttività delle imprese
a cura di Stefano Manzocchi, Beniamino Quintieri, Gianluca Santoni
dal Corriere del Mezzogiorno – Campania (Corriere della Sera) del 27 Novembre
Ci sono differenze di produttività fra le imprese attive nelle diverse province italiane che non possono essere spiegate esclusivamente incrociando i dati relativi ai cosiddetti fattori interni (dimensione, investimenti per la ricerca e per l’innovazione, settore, etc.). E così Stefano Manzocchi, Beniamino Quintieri e Gianluca Santoni, ne “Le cento Italie della competitività” (Rubbettino, collana Fondazione Manlio Masi) hanno provato a calcolare quanto influisce il territorio di insediamento delle aziende sull’efficienza e sulla ricchezza delle stesse. Da un campione di 15mila imprese industriali italiane, il volume ricostruisce un ranking di territori più o meno “accoglienti” sulla base del contributo di cinque fattori esterni alla performance delle realtà produttive. Ossia: a) le infrastrutture (di trasporto, servizi alle imprese e telecomunicazioni); b) le istituzioni locali, la qualità della Pubblica Amministrazione e il tasso di criminalità; c) lo sviluppo del sistema finanziario territoriale e i sistemi di governante; d) la qualità della forza-lavoro e il tasso di innovazione; e) le variabili di controllo a livello d’impresa.
Cosa emerge dall’interessante quanto imponente lavoro di analisi? Che Milano e la sua provincia, nella classifica della competitività relativa delle varie aree del Paese, rappresentano il miglior «ambiente» per sviluppare un’azienda. Foggia, di contro, si piazza all’ultimo posto, il numero 103 della graduatoria.
La Campania, in questo ranking, sta messa male. Decisamente male, soprattutto se si tiene conto della tradizione industriale della regione. Napoli, per esempio, si trova al posto numero 77. Settantasei gradini sotto il capoluogo meneghino e 21 in meno rispetto a Roma, tanto per farsi un’idea della situazione. Avellino si trova al 79esimo posto, Salerno all’83esimo, Benevento al 95esimo e Caserta, che fino a non moltissimo tempo fa veniva difinita la Brianza del Sud, addirittura al 97esimo posto.
Marzocchi, Quintieri (che presiede la Fondazione Manlio Masi) e Santoni ricordano che «nel 2005, in un volume diventato celebre (“Il mondo è piatto. Breve Storia del Ventunesimo Secolo”) Thomas Friedman sosteneva la tesi che il rapporto tra geografia e ricchezza delle genti stava mutando radicalmente, e che questo avrebbe presto costretto le popolazioni e le élite a confrontarsi con un nuovo panorama socio-economico. Molti distorsero quel messaggio, riducendolo all’affermazione che la geografia era diventata quasi irrilevante per lo sviluppo economico, in analogia con quanto Francis Fukuyama annunciava con “La fine della storia”. Ma non era questo il messaggio di quel libro, e in ogni caso oggi la geografia conta ancora, e molto, per la produttività ed il benessere, ma in termini diversi dal passato». È «vero infatti che il mondo è diventato in un certo senso un po’ “piatto”». Questo, però, «non significa affatto che l’ambiente locale non influisca anche molto sulla produttività e sulla ricchezza delle aziende e delle persone che vi risiedono». Nel decennio 2001-2010, la dinamica è stata assai deludente: le imprese manifatturiere nazionali non hanno registrato, in media, incrementi di efficienza produttiva. A partire dal 2007, poi, «si assiste a un rallentamento a seguito della crisi finanziaria globale». Con la distribuzione dei valori medi provinciali che conferma «la forte polarizzazione dei risultati d’impresa fra il Nord e il Centro-Sud del paese, con un persistente differenziale di produttività a favore delle imprese localizzate nelle province settentrionali».
di Paolo Grassi
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