Eventi estremi nel prossimo futuro
a cura di Emanuela Guidoboni, Francesco Mulargia, Vito Teti
Da Il Corriere della Sera del 19 gennaio
Arriverà? I molisani angosciati dallo sciame sismico e dall’incubo di un terremoto non possono avere risposte certe dagli scienziati: la scienza sa di non sapere. E lo ammette. Meglio così che buttar lì previsioni non più credibili di quelle del Marchese di Carabà. Ma se «gli astronomi da molti secoli sono in grado di prevedere l’esatto istante delle prossime eclissi di Sole» e tutti noi viviamo online e le tecnologie sono sempre più avveniristiche, com’è possibile «che i sismologi siano tanto ignoranti da non riuscire a prevedere nulla di nulla?».
La domanda è ripresa da Francesco Mulargia, docente di Geofisica a A Bologna e membro della commissione Grandi rischi, nel saggio «Prevedibile / imprevedibile. Eventi estremi nel prossimo futuro» che lui stesso ha curato con Emanuela Guidoboni e Vito Teti. Risposta onesta: esatto, non è possibile. «Il fatto è che il problema dei terremoti è leggermente più complicato delle chiacchiere da bar, o da blog».
Cercate chiacchiere? Il web trabocca. Digitando su Google le parole «terremoto e astrologia» in italiano e inglese escono 900.000 risultati. Come appunto i pistolotti di un certo «Marchese di Carabà» (ricordate «Il Gatto con gli stivali»?) che vorrebbe spiegare tutto con «le stelle connesse ai terremoti» tipo «Aldebaran della costellazione del Toro, Antares dello Scorpione, Sirio nel Cane Minore». Auguri. In alternativa, ci son sempre i tarocchi o i fondi del caffè…
In realtà, purtroppo, poco è cambiato da quando il sismologo Fernand Montessus de Ballore, chiamato in Cile dopo un catastrofico terremoto a Valparaiso, scrisse nel 1919: «Perché io sistematicamente rifiuto, a ragione, di profetizzare i terremoti, il governo non mi ascolta più». Mezzo secolo dopo, Charles Richter, che diede il nome alla «scala», ribadiva: «Dal tempo che mi sono interessato alla sismologia, le predizioni e quelli che le fanno mi hanno sempre fatto schifo. I giornalisti e il grande pubblico si precipitano sulla minima suggestione di predizione di un terremoto, come maiali verso un trogolo pieno… La predizione è un magnifico campo di caccia per i dilettanti, gli eccentrici e i ciarlatani avidi di pubblicità». Siamo ancora là.
Ovvio: se ancora oggi non è facile per i meteorologi stabilire con esattezza cosa succederà dopodomani pur avendo a disposizione un secolo di cicli meteorologici, sostiene Mulargia, «nei nostri cento anni di registrazioni strumentali dei terremoti abbiamo osservato soltanto un milionesimo di un ciclo di convezione del mantello terrestre». Per capirci: «È come osservare un milionesimo di anno, cioè meno di un minuto di dati meteorologici, e pretendere di fare previsioni affidabili».
Assurdo. Men che meno serve osservare «gatti che si nascondono, serpenti che escono dai buchi, pesci che saltano fuori dall’acqua, galline che si agitano». Che si tratti di antichi oracoli o di analisi avveniristiche «tra tutti i segni premonitori potenziali non è stato possibile trovarne uno che sia di valore universale».
Certo, uno sciame sismico come quello registrato in questi giorni in Molise con una miriade di scosse tra le quali un’ottantina superiori ai 2 gradi della scala Richter e un paio intorno ai 4 gradi è una cosa seria, spiega Mulargia. Quindi «occorre stare in guardia». I terremoti tendono a «raggrupparsi nel tempo e nello spazio» e dunque nella scia di uno sciame, scusate il pasticcio, il rischio «aumenta grandemente». «Grandemente» quanto? Se l’eventualità di avere un terremoto a sorpresa in una certa zona è una su 100.000, la probabilità all’interno di uno sciame sismico sale di mille volte: una su cento.
Guai non tenerne conto. L’utilità pratica, però, «è molto scarsa: anche all’interno di uno sciame, in 99 casi su 100 non accadrà nulla». Come è già successo più volte in passato. Il problema quindi «sta nella gestione dell’emergenza, che a livello elementare prevede solo due comportamenti: o si fa finta di niente o si evacua la zona». Ma si può fare una scelta simile con probabilità così alte e insieme così basse di rischio?
I giapponesi, fin da piccoli, hanno chiaro cosa fare se capita: niente ascensore, niente fughe per le scale, niente panico: evitare le librerie, i pensili e i tramezzi e appiattirsi sotto un muro portante: è il luogo più sicuro. E dal 1978, spiega nel libro collettivo già citato il fisico francese Jean-Paul Poirier, che aspettano la botta nell’area di Tokai, a nord di Tokyo: non è mai arrivata, meglio così. Ma sono pronti. Lo stesso vale per i californiani, che dal 1961 tengono sotto strettissima sorveglianza la faglia di San Andreas. Vivono, lavorano, studiano, amoreggiano, ridono sapendo che può accadere da un momento all’altro. Ma gli uni e gli altri, in Giappone e California, hanno piani d’emergenza, hanno edifici antisismici, hanno esercitazioni a scuola. Non si tappano le orecchie e non toccano il cornetto scaramantico.
Ed è questa la tesi dì fondo degli scienziati. Come spiega Luca Valensise, quella colpita in questi giorni in Molise è un’area a «elevatissima pericolosità sismica, probabilmente la più alta in Italia insieme all’Abruzzo e alla Calabria». Già colpita, tra l’altro, dal «terremoto di Sant’Anna» che il 26 luglio 1805 uccise nell’area del Matese, tra Isernia e Campobasso, 5.573 persone. «Sono passati “solo” due secoli, un tempo decisamente breve per i “tempi di ricarica” tipici di quelle grandi faglie sismogenetiche, però…».
Gira e rigira, si torna sempre lì: non è il terremoto a uccidere ma il modo in cui gli uomini hanno costruito le case in cui vivono. Uno degli ultimi esempi, del resto, fu proprio molisano: il crollo nel 2002 del tetto appena sottoposto a una ristrutturazione cialtrona della scuola elementare a San Giuliano. Dove l’amministrazione comunale, presi i soldi per dare una «sistemata antisismica» al paese, li spese anche per assurde megalomanie. Comprese delle strisce pedonali in marmo…
di Gian Antonio Stella
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