Preghiera laica per Roma (Il Messaggero)

di Virman Cusenza, del 26 Maggio 2016

Da Il Messaggero del 21 maggio

Pubblichiamo l’introduzione e uno stralcio dal libro di Mario Ajello “Disastro Capitale – Roma al Bivio“, edito da Rubbettino, oggi in libreria: una raccolta di articoli – in parte pubblicati sul Messaggero – in cui l’autore racconta la crisi di Roma

LA PREFAZIONE
Queste pagine le ho viste crescere giorno dopo giorno. Sono frutto di un dialogo ininterrotto su Roma, nel quale un po’ per indignazione, un po’ per spirito di denuncia e un po’ per gioco abbiamo scelto di raccontare questa città attraverso uno sguardo disincantato che unisse i fatti politici ai cambi di costume. Collocando il tutto in una dimensione storica, che poi è quella che più appassiona l’autore. Abbiamo puntato il dito contro chi ha maltrattato Roma, spingendola in un immeritato degrado, cioè offendendo la sua dignità e sfregiando la sua storia.
Questo racconto del Disastro Capitale ha cercato di svelare talvolta ciò che di marcio si nascondeva, e per certi aspetti si nasconde ancora, sotto la pelle di questa metropoli. Nostro malgrado, abbiamo dovuto ricordare – come da queste pagine emerge in maniera mai retorica – alcuni principi che sembravano ovvii e sacrosanti quali il rispetto del bene pubblico e che invece, come avviene in altre latitudini d’Italia, sono stati calpestati in una fase dall’amministrazione della città.
Spesso ci siano dovuti aggrappare a un passato lontano, per ritrovare valori e certezze che si sono smarrite nella grande deriva non solo materiale ma anche morale di Roma. Messi da parte amarezza e disincanto, adesso la Capitale deve guardare avanti, ben sapendo che purtroppo è palcoscenico di una classe dirigente sfibrata, smarrita e divisa. A che cosa ci si può aggrappare, dopo tutto quello che è accaduto? Certamente non si può confidare nella rivoluzione di qualche Masaniello di turno, al maschile o al femminile. Né ci si può affidare alle rendite di posizione e alle ormai sgretolate certezze dello status di Città-mondo e di Capitale nazionale che Roma ha da sempre, in quanto sede del Vaticano, del governo e di uno dei più straordinari patrimoni culturali dell’universo.
Non è tempo di miracoli. È il tempo di fare gli straordinari, di dedicare un surplus d’impegno a una metropoli che ne ha urgente necessità. Il marcio della politica, che in buona parte è stato smantellato dalle inchieste giudiziarie e soprattutto dal malcontento e dalla rabbia popolare, cerca di resistere nel sottobosco della politica politicante e delle clientele. Serve una mutazione genetica dei partiti, che a Roma hanno toccato il fondo, anche a causa dell’inadeguatezza e dell’affarismo dei loro ceti dirigenti. Il cui declino ha creato un contrasto stridente, che desta stupore e indignazione anche fuori dai confini nazionali, tra la brutta politica e il palcoscenico unico e grandioso della bellezza di Roma a cui il marcio ha cercato di rubare la scena.
Un dato personale può illuminare sulla eccezionalità del momento. A pochissimi miei predecessori alla direzione del Messaggero, è capitato di dover gestire in un lasso di tempo così breve ben due caotiche e tormentate campagne elettorali. Con la consapevolezza, alla vigilia, che soltanto per effetto di un colpo di fortuna o di una insperata alchimia Roma potrà trovare la formula, e gli interpreti, che la possano rimettere in piedi.
Le condizioni di partenza per il futuro sono quelle – difficilissime – evidenti a tutti. Queste pagine di Mario Ajello, dunque, solo questo vogliono essere: una preghiera laica per la Capitale.

di Virman Cusenza

L’ANTICIPAZIONE
Una partita di calcio. Roma-Feyenoord. E l’Urbe viene devastata dai tifosi olandesi. Che spaccano anche la Barcaccia berniniana di Piazza di Spagna. Il caso finisce sui media di tutto il mondo. E noi non possiamo che constatare una continuità. I barbari antichi avevano le stesse usanze dei barbari di oggi. Basta leggere alcuni passi del grande libro di storia, De origine et situ Germanorum, più comunemente conosciuto come Germania, per accorgersi di come Publio Cornelio Tacito già a quei tempi, intorno al 98 dopo Cristo, aveva capito l’estremo trasporto violento che certi popoli del Nord avevano e hanno anche per effetto dello stato di ebbrezza che in certi momenti non proprio rari li contraddistingue. E che spesso si è rivelato distruttivo.
Scrive Tacito: «I loro pasti erano semplici, a base di grigliate di carni varie, cotte al sangue, annaffiate con vino o più frequentemente con un barbaro vino d’orzo». Cioè con la birra. E ancora il grande storico latino: tra di loro, incalza Tacito, «nessuno considera un disonore trascorrere il giorno e la notte in continue bevute. Come è ovvio, tra gli ubriachi scoppiano frequenti risse: raramente si tratta di alterchi a parole, spesso si concludono con morti e feriti». E preferivano bere piuttosto che mangiare. La «semplicità» dei loro cibi comprende, si legge inoltre nella Germania, «frutti selvatici, selvaggina appena cacciata, latte cagliato; riescono a soddisfare la fame senza elaborati preparativi e senza ghiottonerie. Nei confronti del bere, non sono ugualmente temperanti: se li si asseconda nella propensione a ubriacarsi, offrendo loro quanto vino vogliono, si lasceranno vincere più facilmente dal vizio che dalle armi». Tacito li ha anche descritti «sdraiati su pelli d’orso» mentre si ubriacano indecentemente. Quando sono tornati qui per la partita contro la Roma, ebbri come un tempo, i discendenti del germani immortalati dal grande scrittore latino si sono sdraiati sul marmo della Barcaccia e l’hanno presa a mazzate. A riprova che in 2000 anni non sono cambiati.
RITORNO
Poi, c’è la partita di ritorno. E in Olanda, avremmo potuto dare il peggio di noi stessi. Invece, no. Avremmo potuto dare sfogo alla rabbia e al senso di rivalsa contro gli olandesi. In 2000 anni non sono cambiati. Poi, c’è la partita di ritorno. E in Olanda, avremmo potuto dare il peggio di noi stessi. Invece, no. Avremmo potuto dare sfogo alla rabbia e al senso di rivalsa contro gli olandesi. Per ciò che loro hanno fatto a Roma e contro Roma. E però questo non è accaduto e del resto qualsiasi violenza di ritorno sarebbe stata una dimostrazione sciaguratissima di subalternità culturale da parte di chi non ha nessuna ragione storica e nessun motivo presente o passato per doverla nutrire. E insomma, verrebbe da dire che a Rotterdam, per il match tra i giallorossi e il Feyenoord, abbiamo dato come romani e non per forza come romanisti una lezione di civiltà ai barbari. Proprio a loro che hanno precedentemente sfregiato la nostra Capitale. Ma senza buttarla in retorica, o peggio in campanilismo, è bastato, per uscire a testa alta da quella partita esterna allo stadio, applicare agli olandesi – quelli violenti – il precetto che il confessore rivolge a Jeanne Moreau nel film La sposa in nero: «Non ci si può vendicare degli uomini, non si finirebbe mai. Bisognerebbe vendicarsi non solo dei loro delitti, ma anche della loro ignoranza, di quasi tutti i loro pensieri». Ma soprattutto, sono i fatti che parlano e i fatti sono quelli sintetizzati per esempio in un racconto apparso in quelle ore su Facebook, opera di un rispettabilissimo tifoso giallorosso in trasferta in Olanda. Scrive Romeo Capelli: «Bloccati dalla polizia sotto la scaletta dell’aereo, sequestrati su due pullman e portati in aperta campagna dove ci hanno fotografato, schedato e perquisito sotto la pioggia. Trattati come bestie». E questi eccessi di controllo con gli orrori novecenteschi che sono ben altra cosa e quei demoni naturalmente non c’entrano affatto con questa vicenda.

di Mario Ajello

clicca qui per acquistare il colume con il 15% di sconto

Altre Rassegne